Un legame profondo con la figura femminile in un’esposizione di sculture al complesso monastico di Sant’Agostino Sasso Barisano del 1592 per l’artista veneto Giovanni Casellato. Nella personale “Alla madre”, curata da Chiara Casarin e visitabile a Matera fino al 31 agosto negli antichi ipogei del convento, lo scultore cristallizza ricordi di infanzia e di viaggio in un métissage di culture e tradizioni. «Da uomo sono attratto dalla figura della donna, ma anche dalle persone in generale. Mi piace entrare in contatto con il parcheggiatore piuttosto che con il prete. Diventa un’esperienza di vita che fa crescere. Sono stato figlio di una donna che è mancata quando ero piccolo, le ho dedicato una chaise longue intitolandola La canzone di Marinella», spiega Casellato all’inaugurazione della mostra inno alla libertà. Una libertà che è madre terrena, sanguigna, naturale o religiosa, in cui lo spettatore trova la propria interpretazione senza imposizioni da parte dell’ideatore che, architetto laureato allo Iuav e designer, plasma oggetti di destinazione d’uso non identificato e trova entusiasmante la personalizzazione che ognuno di noi può fare di una scultura. Il linguaggio espressivo del creativo, proveniente da una generazione di fabbri, si declina nella modellazione del ferro. L’estate, quando era studente, si divertiva a stampare scarponi da sci e a sperimentare materiali diversi come il legno, lavorando in falegnameria per comprenderne il potenziale. I lavori scelti da Giovanni Casellato per il progetto “Matera Capitale Europea della Cultura 2019”, alcuni realizzati negli ultimi tre anni di attività, sono alti più di due metri, non sono solo sculture ma anche bassorilievi, frutto di un percorso spirituale racchiuso in progetto espositivo che è mistico e introspettivo, ma anche leggero nella sua complessità. E Casellato lo traduce in una simbologia religiosa che guarda all’amore incondizionato per le donne, in particolare per la madre. Tra le opere presenti le Anime, forme verticali che si stagliano verso l’infinito, fluide come l’etere, i Danzatori di sufi, simbolo dei sentimenti più puri, privi di limiti e barriere, le Betulle, omaggio alla sacralità della natura e la Maddalena, scultura che sorpassa le narrazioni bibliche ed evangeliche tipiche della cultura popolare e proietta in una dimensione ultraterrena di femminilità raccontata nella sua ampiezza attraverso l’arte. Poi gli Aquiloni, creazioni iconiche e ludiche che volano verso l’alto solo se un filo li tira in senso opposto. «L’intento dell’esposizione è quello di far intraprendere, a chi osserva, un viaggio spirituale attraverso forme che tendono all’essenza e alla purezza, con l’uso del colore bianco che si contrappone alla gravità del metallo. Un colore assoluto che sublima la materia pesante e trasporta la mente nel puro luogo del niente», sottolinea lo scultore, che aggiunge «Il ferro se viene lavorato bene consente di creare illusioni. Pezzi che magari pesano un quintale appaiono assolutamente leggeri. Matera è arrivata per caso, così come Venezia e Rabat, città straordinarie, dall’energia incredibile, che ti spogliano e ti guardano dentro e non ti lasciano indifferente. Quella che a volte chiamiamo casualità di ritrovare una persona, che poco tempo prima aveva parlato di te all’assessore alla cultura che in seguito ti invita ad esporre in uno spazio del genere, è inspiegabile. Penso di essere un privilegiato perché i luoghi che ho visitato grazie al mio lavoro mi hanno arricchito tanto». E sullo stato dell’arte italiana dice «mi emoziono per quello che mi piace, fra i miei temi ho sempre sviluppato l’ironia e la capacità di ritornare bambini con oggetti come la girandola, l’aquilone, la barchina di carta per strappare un sorriso. Ma anche la serenità e la spiritualità con tutti gli interrogativi di chi si è affacciato già alla finestra dei cinquant’anni». «Le sculture di Casellato, che ho lasciato assolutamente libero nella progettazione dell’allestimento site specific, diversamente da quanto avrei fatto in una mostra collettiva, hanno la capacità di catturare lo sguardo di chiunque le incontri. Lo catturano e lo incantano. Non si tratta di semplice bellezza, non è solo una relazione di tipo estetico quella che si instaura tra l’opera e l’osservatore. Vi è qualcosa di più profondo, di più importante che si avverte immediatamente e si comprende lentamente», racconta la curatrice Casarin prima dell’esibizione del trombettista Fabrizio Bosso, fratello del maestro Ezio. La mostra “Alla madre” è inserita all’interno della programmazione internazionale degli eventi organizzati dalla Fondazione Matera – Basilicata 2019, che coinvolge tutta la città con iniziative culturali, spettacoli e rassegne che si concluderanno il prossimo 20 ottobre.
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