“Organi da asporto” in un’esposizione dal retrogusto pop in cui le sculture dell’artista pugliese Sabino de Nichilo, alla sua prima personale nella Capitale, ricordano strutture organiche come il cuore o il fegato con volumi morbidi giocati sulle cromie delle opere visionarie che rompono gli schemi dei manuali classici d’anatomia. La mostra, visitabile dall’11 aprile fino all’11 maggio su appuntamento presso L29 art studio, spazio espositivo sperimentale romano in via Labicana 29 e collegato a quelli delle artiste Flavia Bigi, Francesca Romana Pinzari e Gaia Scaramella, è un percorso che vuole ribellarsi agli stereotipi corporei: “Carne frolla” e “Anus” sono alcuni dei lavori di de Nichilo, sculture che prendono forma e volume quasi ad assecondare un istinto vitale alieno e primordiale. Frattaglie e scarti resi nobili dall’arte in cui la composizione creativa diventa metafora della società attuale devota al consumo e alla fiera delle vanità.“Sono organi, certo. Ma sono anche piccole architetture in cui ritrovare ulteriori suggestioni”, scrive Lorenzo Madaro nel testo critico del catalogo dell’expo e sottolinea “si compongono nello spazio, spesso a stretto contatto l’una con l’altra, per formare brandelli di altri possibili corpi. Sono gialle, spesso appariscenti nei verdi, blu, rosse carminio, arancio; talora hanno profili dorati, che conferiscono un’aurea ancor più sospesa nel tempo e nello spazio (l’archeologia dell’effimero). Spesso vivono di equilibri e squilibri formali, alcune volte sono corpi autoportanti, altre vivono in una dimensione distesa, necessariamente in relazione con un supporto. Spesso generano, o sono generati, da orifizi smaltati con altri colori, in un contrapporsi costante di complementarietà. Sono le sculture di Sabino de Nichilo, reliquie di mondi distrutti che egli costantemente aggrega, come corpi sfatti o palpitanti. E ogni volta, come questa volta, è una nuova occasione per verificarne le consistenze, nella pelle materica di una ceramica che contribuisce alla stessa genesi di questi lavori”. L’ironia artistica dello scultore guarda a “retaggi alchemici” in una dimensione che ricerca il suo costante equilibrio nella forma e nei colori utilizzati per la realizzazione degli “organi” protagonisti di uno “sventramento incruento”, di una chirurgia estetica che non riguarda solo il corpo ma si proietta anche sullo spirito e sulla mente. In una digestione di pensieri che viene generata visivamente dalle variopinte frattaglie esposte e invita a riflettere in modo viscerale sulla contemporaneità.
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