Quella pillola rossa di Mimosa Campironi

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mimosaMilanese di origine e romana d’adozione, Mimosa Campironi è una vera e propria forza musicale. Ma non solo. Giovane artistica eclettica, si divide fra musica, cinema e teatro. Questo è il periodo da dedicare tutto ai live attraverso cui far conoscere le sue nuove canzoni, quelle contenute nell’album Hurràh!, prodotto da Filo Q. e voluto da Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

Partiamo dal titolo: come mai Hurràh!?

Hurrah è un grido vitale e gioioso di incitamento e festa. Volevo che fosse un segno positivo e ironico. Mi interessa un genere di ironia quasi amara, una consapevolezza che quello che ci circonda si può colorare, anche se sappiamo che è tutto nero. La copertina mi ritrae senza veli, coperta di vernice d’argento, per dare l’idea che la vera arma per il cambiamento, la felicità, la musica bella, siamo noi stessi, senza difese.

Come ti piace definire questo disco?

Mi piace citare uno dei miei film preferiti: Matrix. Per chi lo ha visto, a un certo punto chiedono al protagonista: “Pillola Azzurra o pillola rossa?” Il mio disco è la pillola rossa.

Il piano e l’elettronica si incontrano e ritmi quasi martellanti convivono con ballate più vicine alla nostra tradizione.

Hai colto lo spirito dell’album. Ascolto molto il rock, l’electro e la musica classica. Volevo un dialogo tra il pianoforte e le percussioni con l’aggiunta di elettronica pura ad opera del genovese Filo Q.

Hai definito la musica “un’azione da supereroe”.

Fare i conti con poche finanze costringe gli artisti a fare di necessità virtù e ingegnarsi continuamente con nuove idee. Per fortuna è un momento libero, in cui le regole della musica si fanno e disfano con facilità. È facile uscire sul mercato con una canzone, ma sopravvivere è tutt’altro, è da supereroi.

Il primo brano estratto da questo disco è Evoluzione. Quali sono stati i maggiori cambiamenti che hai affrontato come persona e come artista?

Quando perdi una persona cara, ti rendi conto che abbiamo poco tempo per fare quello vorremmo. Ho imparato ad apprezzare e sfruttarlo in modo diverso, a considerare le scelte da fare con più attenzione, a preservare gli affetti.

Videovita, invece, ti è stato ispirato dal fenomeno mediatico dello scatto del bambino di Aleppo Omran Daqnees.

Quella foto mi ha scioccata. E’ stata valutata a livello mediatico come foto che ha raggiunto più like e condivisioni sui social, mentre è passato in secondo piano il contenuto spaventoso di ciò che testimonia.

MIMOSA HURRA

Parlando di te, alla musica come ti sei avvicinata?

Volevo suonare il pianoforte di mio padre, che ha lasciato me e mia madre da sole quando avevo un anno. Lasciò dei dischi, qualche foto e un pianoforte tedesco. Volevo lui e invece è arrivata la musica.

Sei un talento della nostra canzone d’autore. Per una donna è più difficile farsi strada nella musica?

Noi ragazze in tutti i settori stiamo passando un periodo importantissimo, in cui stiamo imparando a valorizzare le capacità piuttosto che la bellezza e soprattutto a fare gruppo in modo sincero. Le ragazze cantautrici stanno aumentando e ne sono felicissima. Non vedo l’ora di vedere i palchi dei festival musicali a maggioranza femminile, anziché aspettare di ascoltare l’unica artista donna in un carrozzone di rocker.

Come attrice hai lavorato, tra gli altri, con Gigi Proietti.

Gigi è un mito. Mi ha scelto tra centinaia di ragazze per interpretare la sua “Giulietta Rock” in Romeo e Giulietta. Sono innamorata cotta di lui come artista e gli devo moltissimo.

C’è un episodio off dei tuoi esordi che ricordi?

La prima volta che ho suonato le mie canzoni è stato a un concorso organizzato da Claudio Rocchi (Stormy Six), anima storica del progressive anni 70. Mi ci ha trascinato un mio amico, avevo 40 di febbre e una fifa indescrivibile. Ho tremato tutto il tempo, poi Rocchi mi ha premiato, prima. Gli devo la prospettiva della mia vita. Mi disse: “Qualsiasi cosa ti succeda, continua sempre a suonare, a fare, non smettere mai altrimenti ti perdi”.

I tuoi successi lasciano supporre che ti dedichi molto al lavoro. Nel tempo libero, invece, cosa ti piace fare?

Le mie passioni: i miei gatti, il mio ragazzo e il tortino con il cuore caldo al cioccolato fondente.

Quand’eri bambina, come ti immaginavi da grande?

Ero una sognatrice. Pensavo che avrei vissuto a Parigi perché avevo letto la vita di un pittore su un libro di biografie. Mi immaginavo da adulta in una casa francese con una vestaglia di velluto rosso, come in un quadro impressionista. Non capivo cosa volesse dire, ero affascinata da un immaginario.

Ora, invece, cosa speri per il tuo futuro?

Adesso la vestaglia rossa ce l’ho e a Parigi ci sono stata in vacanza. In futuro vorrei essere felice.