Marco Enrico Bossi, il “mostro sacro” dell’organo che conquistò gli USA

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CC0 Creative Commons Libera per usi commerciali Attribuzione non richiesta«Ti faccio i più sinceri auguri per la tua tournèe in America. Sentiranno laggiù come si suona l’organo!»: sono le parole che Giacomo Puccini rivolse all’amico in partenza per una serie (l’ultima) di concerti Oltreoceano. Era Marco Enrico Bossi (1861-1925), quello che si suol definire “un mostro” dell’organo: varcò i confini e diventò lo showman che sdoganò l’organo trasformandolo in strumento da recital solistico.

Meno nota, invece, benché egli fosse un compositore a 360°, è la sua produzione cameristica. Per questo, da segnalare è la recente uscita discografica , a cura del Trio Archè, contenente due gioiellini cameristici di Bossi per pianoforte, violino e violoncello: il Piano trio n. 1 in Re minore op. 107 (I. Allegro moderato, II. Dialogue. Larghetto, III. Scherzo. Vivace, IV. Finale. Festoso) e il Piano trio (Trio sinfonico) n. 2 in Re maggiore op. 123 (I. Moderato, II. In memoriam. Adagio, III. Novelletta. Moderato, IV. Finale. Allegro energico).

Le due pagine bossiane rivestono un’importanza particolare. Con l’imperare ottocentesco del melodramma, in Italia, la musica strumentale viveva negletta ed eclissata dai fasti del teatro musicale. Se la musica strumentale sopravvisse fu grazie alla coraggiosa e anti-egemonista azione di alcuni compositori: Bossi fu uno di coloro grazie ai quali, nella seconda metà dell’Ottocento, si poterono gettare le basi per la rinascita della musica strumentale italiana. I due presenti trii sono pagine di intenso e denso lirismo, armonie ferventi e appassionate, vette melodiche che sanno d’onirico e sinuose calorosità che riportano nei meandri della terra: un equilibro e raffinatezza di scrittura che ne fanno certamente musica dall’eleganza unica.