Alla Fenice prima assoluta per gli 80 anni di Azio Corghi

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Anna SerovaGrande festa per gli 80 anni di Azio Corghi, monumento vivente della musica del Novecento. Domenica prossima, 3 dicembre, sarà nientemeno che il Teatro La Fenice ad ospitare il concerto commemorativo.

Ospite d’eccezione sarà una delle interpreti preferite da Corghi, la violista Anna Serova. In programma, alcune opere in prima assoluta: Tang’Jok-jaloux, definita dallo stesso compositore «un gioco virtuosistico che scaturisce dal seducente ritmo e dalla citazione del tango tzigano ‘anni venti’, citazione melodica che s’intreccia con il doloroso incipit del ‘Lamento di Arianna’ monteverdiano. Una composizione che fa riferimento al dramma teatrale ‘Elena’, di Maddalena Mazzocut-Mis, dove l’arma della bellezza diventa causa di sofferenza».

Sempre in prima assoluta, verrà eseguita Metamorfosi, opera scritta da Corghi proprio per il concerto veneziano e dedicata all’Ex Novo Ensemble e a Monica Bacelli. Si tratta, commenta Corghi a Il Giornale OFF, «della “rilettura in chiave di attualità” di una composizione inedita, scritta nel 1964, in origine destinata alla voce di Mezzosoprano e al Pianoforte. La nuova versione, con Voce e Quintetto strumentale, pur conservando la stesura musicale iniziale, approfitta del maggiore spazio timbrico disponibile per evidenziare situazioni caratterizzanti ognuna delle tre parti di cui si compone. Il “ricordo” della prima versione può aver stimolato ulteriormente la fantasia del compositore a distanza di oltre mezzo secolo dalla prima stesura».

Anna Serova, violista russa divenuta cittadina italiana da alcuni anni, ha accettato di chiacchierare un po’ con noi di OFF.

Anna, come si è avvicinata alla musica?

Io provengo da una famiglia di tre generazioni di ingegneri, che ciononostante ha sempre ritenuto fondamentale l’educazione musicale per i bambini, in linea con la tradizione russa. Tutti nella mia famiglia sanno suonare uno o più strumenti. A 6 anni ho scelto il violino e a 14 ero già sicura che la musica sarebbe diventata la mia professione. Passai alla viola all’età di 15 anni.

Perché la viola e non il violino?

Quando la provai per la prima volta, rimasi colpita dal suono caldo e così vicino alla voce umana. Così diventò il mio strumento che ho studiato a San Pietroburgo, a Parigi e in Italia.

Anna Serova

Che musica preferisce?

Predilezioni non ne ho. Suono tanti generi diversi, dalla musica del’700 al tango contemporaneo, e mi piace anche esplorare le possibilità tecniche e timbriche della viola elettrica. Mi piace scoprire il nuovo repertorio e approfondire il cosiddetto “vecchio”, intendendo non solo i pezzi dei periodi barocco, classico e romantico, ma anche quelli di tutte le epoche che ho già suonato e che mi piace “rispolverare”.

Cosa si prova ad eseguire una partitura in prima assoluta ed esserne addirittura il dedicatario?

È sempre un grande onore per un interprete quando un compositore gli dedica un pezzo e gli affida la prima esecuzione. Vuol dire che è stato ispirato dall’interprete e si fida di lui/lei. È al contempo anche una grande responsabilità, perché dopo lo studio dello spartito che di solito avviene a stretto contatto con il compositore, alla fine la prima esecuzione diventa una specie di dichiarazione ufficiale di come il brano deve essere suonato, un punto di partenza per gli altri.

A proposito di musiche nuove: la musica contemporanea in generale, come se la passa?

Qualche anno fa sono stata invitata all’Opera House di Manaus in Brasile e mi hanno chiesto di eseguire solo brani di musica contemporanea. Ho chiesto se non fosse meglio aggiungere qualche brano classico-romantico al concerto, e il direttore artistico mi ha risposto: “Non ti preoccupare, abbiamo un pubblico molto semplice e non molto colto, ma il teatro è sempre pieno. Ogni genere di musica colta risulta sempre una novità per la stragrande maggioranza del pubblico locale. Noi facciamo molto lavoro per divulgare la musica, la portiamo nelle scuole e spieghiamo il programma dei concerti anche sui giornali”.

Caspita, il Brasile che vuole solo la contemporanea. Cosa significa, secondo lei?

È stato bellissimo suonare in quel posto lontanissimo, in mezzo della giungla amazzonica, per quel pubblico sincero, grato, curioso e non presuntuoso, il pubblico che non fa finta di “capire” i classici e non ha paura “di non capire” la musica nuova. Credo che questo sia un esempio di come far entrare la musica di qualità nella vita delle persone. Non si può costringere nessuno ad ascoltare la musica (contemporanea o no), come ad andare ai musei, a teatro o a leggere. Ma possiamo insegnare l’importanza della cultura ai bambini, così da fornirgli gli strumenti necessari per poter apprezzare la bellezza dell’arte in futuro. È scientificamente provato che i bambini che studiano musica hanno più facilità di integrazione e una maggiore sensibilità.

Lei ormai è italiana. Pentita?

Sono in Italia da quasi metà della mia vita e la considero la mia casa. Non si può non amare questo Paese così bello, ospitale, caldo e pieno di capolavori artistici.

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Mattia Rossi
Nato a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1986. Orgogliosamente piemontese e monferrino: ama la tavola, il vino e la nebbia della sua terra. Ha studiato Canto gregoriano a Milano e Lettere a Vercelli. Si occupa prevalentemente di musica (tutta: dal gregoriano alle avanguardie) e recensioni librarie. Ha al suo attivo diversi articoli sul canto gregoriano, sulla musica sacra, sulla musica nella "Commedia" di Dante e sulla musica trobadorica pubblicati in riviste internazionali. È anche autore dei volumi "Le cetre e i salici" (Fede&Cultura, 2015), "Rumorosi pentagrammi. Introduzione al futurismo musicale" (Solfanelli, 2018) e "Ezra Pound e la musica" (Eclettica, 2018). Giornalista e critico musicale, collabora con «Il Giornale», «Il Giornale OFF» e «Amadeus».