Dopo sette anni di assenza L’Aura (alias Laura Abela) torna sulle scene con Il contrario dell’amore.
«È tutto quello che dell’amore non si vede, ma c’è, ed esce nel peggiore dei modi. E con le persone che ci stanno più vicine. Un filo nero ricoperto d’oro, perché il contenuto delle canzoni è amaro, ma la superficie zuccherata come il caramello», racconta la cantautrice bresciana.
Ispirato ai successi anni ’60, ’70 e’90, l’album si presenta come un melodramma in tre atti: tredici canzoni e tre racconti che narrano le vite di Mary Jane, Lucy e Lisa. Riprese da famosi brani di Alanis Morissette, dei Beatles e di Cat Stevens, le tre protagoniste vengono qui utilizzate come alter ego attraverso cui la cantante racconta se stessa. Ad accompagnare queste storie, suoni energici e rockeggianti che sembrano proprio non appartenere a quella ragazza romantica e sognante degli albori. Di sognante è rimasta solo quella scrittura, fatta di immagini fumettistiche e colorate sulle quali si rotolano profondi intrecci di parole.
Età diverse ed esperienze di vita al limite sembrano così riflettersi con quelle delle protagoniste dei brani, superando ogni barriera spazio-tempo in una carbon copy emozionale. Pubblicato su etichetta Time Records, Il contrario dell’amore, uscito lo scorso 22 settembre, ha già all’attivo qualche successo: il primo singolo estratto dall’album, I’m an alcoholic quest’estate è stato tra i più scaricati su itunes, e anche La meccanica del cuore, prodotto e arrangiato dal marito Simone Bertolotti (già al fianco di Laura Pausini, Elisa e molti altri), e mixato da Michael Brauer (che vanta collaborazioni con Coldplay, John Mayer e Paul McCartney), sta riscuotendo numerosi consensi.
Il disco, per metà in lingua inglese, narra la fragilità della donna, ancor prima dell’artista, che, dopo una serie di scelte sbagliate, sembra aver finalmente trovato il suo equilibrio. E, a ispirarla, quel lato oscuro dell’amore di cui sono impregnati molti dei nostri rapporti umani.
Puro amore dietro canzoni di odio. Forse perché, alla fine, come diceva Bukowski, “quando l’amore diventa un comando, l’odio può diventare un piacere”. E come per i più grandi artisti, quale migliore musa della sofferenza?