Franco Zeffirelli diceva che «la congiunzione di stelle che si sono create per creare un astro così completo e perfetto come Maria non potrà ripetersi mai più». Maria era Maria Callas. E da 40 anni la musica è senza. Era il 16 settembre 1977, infatti, quando il suo corpo senza vita veniva trovato a Parigi, nella casa in cui, sola, tradita, si era isolata.
Di tutto si è scritto, sulla “divina”, il bello e il brutto: dall’infallibile e suprema sua esistenza musicale alla fallibile e tormentata sua presenza terrena; dalle folgoranti e incomparabili interpretazioni di quella «vociaccia», per dirla con Tullio Serafin, ai tormenti di una vita che, a volte, sembrava non sganciarsi dal dramma tragico della sua Norma che canta lo struggente Spargi in terra quella pace che regnar tu fai nei cieli.
Inutile ripercorrere, qui, i 54 anni di biografia callasiana (per quello c’è Google…). In questo quarantennale, Italo Moscati, regista e storico del cinema e del teatro, si è impegnato per offrire ai lettori italiani un ritratto della Callas. E ci è riuscito sommamente in Non solo voce, Maria Callas (Castelvecchi, pagg. 96, euro 11,50), un libro snello e appassionato o, come scrive l’autore stesso, «il racconto, il documento, le pagine di un’eredità che Maria ha lasciato. Un testamento, insomma, che liquida una fine fisica e diventa un ricordo ampio, una sfera di lasciti e di prove d’esistenza». Non è (fortunatamente) una biografia in senso stretto, ma un libro che sembra un dipinto impressionista: un affresco callasiano nel quale Moscati tratteggia il lascito della Callas come in un flebile e indefinito fluire di ricordi e sensazioni. «La voce di Maria è come il meltemi, vento bizzarro, curioso, irresistibile», scrive Moscati: la si ascolti, si parta dalla sua voce per non fermarsi alla sola voce.
Un’arte ineguagliabile, una vita ingrata: «Cantante che non amava essere leggenda, ma semplicemente era, è, una donna costruita dalla sua arte e dalla sua passione». Non solo voce, Maria Callas, appunto.