Nell’era dei social torna a brillare la poesia

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Silvia Castellani dialoga con il poeta Luca Vaglio

Sera d’inverno all’Hemingway
– quattro guardano il Milan –
fuori dai vetri la neve
cade veloce e perfetta

cedo al bianco, lo spazio
buono per uscire da me
dove pulsa una memoria
larga e vera come un senso

***

Sei di mattina alla fine di agosto
bar ancora chiusi e quasi nessuna
auto, se ti siedi vicino al suolo
sotto un albero o sul marciapiede
di un incrocio ti accorgi che Milano
ha un suono, come un vento metafisico
che si muove tra le case forte, sordo
forse la nota continua della Terra
che vince sul silenzio della città

Luca Vaglio
da “Milano dalle finestre dei bar” (Marco Saya Edizioni), 2013.

Copertina saggio-inchiestaLei ha scritto recentemente un saggio-inchiesta, intitolato Cercando la poesia perduta (Marco Saya Edizioni 2016), dove ci si interroga sulla condizione della poesia ad oggi in Italia, raccogliendo punti di vista diversi sullo stato delle cose. Che cosa è emerso dalla sua indagine, quali sono le macro considerazioni che è possibile fare riguardo la poesia?

L’inchiesta ha come obiettivo quello di riflettere sullo stato attuale della poesia. Si tratta di un campo di indagine ampio, che si colloca nel contesto ancora più esteso della letteratura di oggi. E’ difficile ottenere delle risposte chiare e univoche. Si può ipotizzare che negli ultimi due o tre decenni, almeno in Italia, la percezione della poesia presso il grande pubblico dei lettori si sia in qualche modo attenuata, probabilmente anche a causa del fatto che la visibilità e l’influenza dei poeti all’interno dell’industria culturale sono diminuite. Conviene, poi, considerare le vendite dei libri di poesia, pari allo 0,59% del mercato nel 2014 (Nielsen) e in calo del 20% rispetto al 2009.

Nel saggio lei pone una domanda sulla possibilità di fare arrivare la poesia, da intendersi come macro genere, a un pubblico più vasto. È possibile secondo lei e, se sì, come?

È possibile, senza dubbio. La vie sono quelle di sempre. Parlare della poesia e di chi la scrive su giornali, riviste, blog letterari e altri spazi analoghi con competenza, chiarezza e apertura alle diverse forme e tendenze che caratterizzano questo genere letterario. Molti blog letterari lo fanno. Mi sembra che anche i grandi giornali abbiano ripreso a occuparsi di poesia con più attenzione che nel recente passato. E non va trascurato il ruolo della scuola, in classe andrebbero letti maggiormente i poeti contemporanei, quelli che scrivono oggi e non soltanto i classici o gli autori ormai entrati nei canoni della letteratura.

Viviamo in un’epoca in cui internet e i nuovi media hanno assunto un ruolo importante. Come hanno influito sulla diffusione e sulla percezione della poesia?

Internet ha determinato un cambiamento visibile e radicale nella diffusione della poesia. Online si pubblicano ogni giorno moltissime scritture poetiche contemporanee e non, con uno spettro ampio di forme e di qualità, sulle riviste letterarie e sui social network. Più difficile ipotizzare le conseguenze sulla percezione. C’è forse che leggendo, come spesso capita, in rete una poesia singola il lettore ha bisogno di fare un lavoro di contestualizzazione, ossia di collegamento all’opera da cui il testo è preso e all’autore che lo ha scritto, maggiore di quello a cui si era abituati fino a poco tempo fa, quando c’erano soltanto libri e riviste di carta.

Luca Vaglio copiaParliamo del linguaggio e delle forme della poesia. Ci può spiegare in sintesi in cosa consiste la rivoluzione del verso libero avvenuta all’inizio del secolo scorso?

È una trasformazione profonda della scrittura poetica, che affronto nella seconda parte del mio saggio, intervistando il professor Paolo Giovannetti (Iulm). Gianfranco Contini osservò che fino circa al 1880 le persone che avevano alle spalle degli studi classici erano capaci, di norma, di scrivere in metrica con una certa facilità, come per una competenza che veniva da lontano, antica e istintiva. Passati pochi anni, questa capacità è andata persa e per numerosi poeti allora giovanissimi è stato naturale iniziare a scrivere versi liberi. Tra i poeti che consolidano il cambiamento ci sono i crepuscolari Sergio Corazzini e Corrado Govoni, quindi Dino Campana, Clemente Rebora e Giuseppe Ungaretti, che nel 1916 pubblica Il Porto Sepolto.

Guido Oldani, inventore del realismo terminale, scrive della sua scrittura – in una nota contenuta nella raccolta poetica Milano dalle finestre dei bar – che “sull’usura del nostro abusato linguaggio, riesce a prevalere l’ossigeno della dizione”. Vorrei chiederle quali sono stati gli autori importanti per lei, culturalmente parlando.

Una prima illuminazione, se così si può dire, risale all’infanzia, quando in seconda elementare, grazie a una maestra intelligente e preparata, ebbi modo di leggere le poesie del primo Ungaretti, tratte da Allegria di naufragi. In seguito, per la formazione dellaParallelismi mia visione poetica sono stati importanti poeti come Fernando Pessoa e Thomas Stearns Eliot. E, ancora, insieme a molti altri, Vittorio Sereni, Mario Luzi, Elio Pagliarani e Giovanni Raboni.

In Milano dalle finestre dei bar c’è Milano e ci sono altri luoghi. Ce ne racconti uno a cui è particolarmente legato.

A Milano amo molto le vie della zona di Porta Venezia, nelle quali coesistono meravigliosi palazzi in stile liberty, bar come il Picchio, con il suo arredamento immutabile dove magicamente sembra di tornare indietro di almeno cinquantanni, posti accoglienti e informali, come ad esempio il Turnè, locali più al passo con le mode del momento e ristoranti etnici dai prezzi accessibili. Nella Milano di Porta Venezia si possono sperimentare nello spazio di pochi passi l’atmosfera dei vecchi quartieri, la bellezza di una grande città ricca di storia e le metamorfosi stilistiche di una metropoli europea.