La casa famiglia Capitano Ultimo, alla Tenuta della Mistica di Roma, sulla via Prenestina, è retta dai volontari tra i quali molti carabinieri. È l’esempio concreto del servire il proprio Paese attraverso percorsi di recupero ma anche di integrazione e restituzione della dignità a chi è considerato un fuori casta dalla nostra società opulenta, desacralizzata e anche vigliacca, che guarda gli emarginati con quell’espressione finto buonista che sa tanto di razzismo strisciante, il peggiore. Qui, invece, la povertà e l’emarginazione diventano un’opportunità per i ragazzi detenuti che scontano la loro pena in casa famiglia durante il giorno, per i Rom che tornano alle loro tradizioni del rame battuto, per chi era senzatetto e oggi è tornato a vivere. Qui c’è amore incondizionato, che è bellezza e poesia. È la dimostrazione che legalità e giustizia, quando vere e non inutilmente coercitive, sono la forma d’arte più bella, l’emanazione del Creato.
I volontari del capitano Ultimo, stesso nome della Onlus che è nata ufficialmente il 23 maggio 2009, ricorrenza della strage di Capaci, offrono il loro tempo gratuitamente, compreso il servizio d’ordine. “Oggi l’eroismo è parlare di queste persone che ogni domenica vengono qua e potrebbero fare tante altre cose e non è scontato… questa è una fratellanza, un’uguaglianza… questa è una superiorità, perché va oltre l’egoismo”, ribadisce spesso il Comandante Ultimo, per il quale essere uomo dell’Arma vuol dire anche impegno sociale concreto, vuol dire donarsi al proprio popolo senza condizioni, onorando così tutti quegli eroi caduti in nome della giustizia che sono i martiri del ventesimo e ventunesimo secolo.
Questo vuol dire essere guerriero militante. Lo sono padre Rovo, “che ci ha fatto capire che la nostra battaglia avrebbe dovuto essere una preghiera” e padre Max, in trincea a Tor Bella Monaca, capitato per caso con gli Scout ed è rimasto, lo sono i carabinieri che assistono alla messa insieme agli ex detenuti e i volontari tutti. Alla casa famiglia, la domenica vengono le famiglie a mangiare nei due ristorantini autogestiti, a comprare il pane dei poveri fatto con lievito madre o un dolcetto artigianale e fatto con il cuore, una tisana e un olio essenziale realizzati con le piante locali o le sculture in legno di edera e le bomboniere solidali. E c’è la falconeria dell’apposito centro, bellezza e terapia che curano il corpo e l’anima, perché il rapace è come l’emanazione di uno sciamano pellerossa, un tramite tra l’uomo, i suoi mali e gli dei che possono guarirlo, nel sogno che diventa realtà.
“La casa famiglia è il primo servizio nato qui alla Tenuta della Mistica, otto minori dai 6 ai 18 anni che con decreto del tribunale vengono allontanati da famiglie ritenute poco adeguate per la loro crescita. Dove c’è una potenzialità, al 90% c’è sempre, li aiutiamo a rinforzare i legami e attuare il ricongiungimento familiare”. Maria Adele è una delle educatrici. “Qui, con sei educatori e una coordinatrice, 24 ore su 24, vengono individuati i bisogni educativi del fanciullo, gli obiettivi da raggiungere per la riabilitazione e l’inserimento sociale. Ci caratterizziamo dagli altri proprio perché il presidente (Ultimo, ndr) mira a potenziare la famiglia per riunire tutti, il contrario di quel che accade in genere, cioè allontanare il ragazzo perché lo si individua come il problema, mentre spesso le difficoltà sono dinamiche del nucleo familiare. Poi, visto che c’era bisogno di inserimento lavorativo abbiamo creato dei laboratori artigianali, dalla falegnameria al ferro battuto. E facciamo un servizio che accoglie detenuti sia minori che giovani adulti per la manutenzione dell’area verde. Ci sono cinque telai antichi, dove lavoriamo tessuti artigianali italiani e anche lì vengono impiegate persone inviate dai municipi, quindi donne in difficoltà, senzatetto, ex tossicodipendenti. Realtà così non ce ne sono. Avere un’alternativa alla criminalità è la cosa principale”.
“Osservavo i falchi, adoro i rapaci notturni, li studiavo ma sempre nel loro mondo. Fino a quando ho fatto amicizia con i proprietari di un’azienda di rapaci che mi hanno convinto ad addestrarli”. Francesca è la falconiera della casa famiglia. “Anche qui, sono arrivata per caso. E un incontro casuale con Ultimo, che voleva conoscere questi rapaci ed è venuto da noi, parlandoci di quel che aveva in mente. Era un progetto che sapeva di buono, glielo ricordo sempre. Era l’idea di fare qualcosa per aiutare qualcuno, soprattutto i ragazzi, che sono il nostro futuro e le persone più deboli. Ho deciso di partire anch’io per quella che era davvero un’avventura. Sono passati solo sette anni, all’inizio non c’era nulla, un cantiere senza acqua né luce. Abbiamo trovato un posto ideale per la falconeria, ci sono gli alberi, le voliere sono all’ombra e con altri amici abbiamo portato avanti il tutto. Questi rapaci si avvicinano molto, come carattere, al gatto, sono indipendenti, devi conquistare la sua fiducia e trovo che sia bellissimo. Come lo è far capire che questi sono animali splendidi, importanti, che vanno difesi anche dal bracconaggio. Noi li usiamo come pet terapy. Lavoro con molti ragazzi con difficoltà di tutti i generi. E riescono a stare meglio, a vincere le paure. Un non vedente che si muove nel campo e riesce a far volare un falco come se fosse la cosa più normale di questo mondo, a riconoscerlo da un altro, apre il cuore. Così per i ragazzi affetti da autismo o dislessia che, messi insieme perché io voglio che l’aiuto sia nel gruppo dove tutti sono uguali, la falconeria funziona”.
Aoun è di Tunisi. Lavorava per i grandi marchi della pelletteria e tra i suoi clienti c’era la famiglia Ben Alì, l’ex presidente della Tunisia. Aveva una fabbrica con 300 operai. Con la rivoluzione ha perso tutto. “Per un anno, associato al passato regime, sono stato agli arresti domiciliari, i documenti sequestrati e solo grazie a persone che hanno garantito per me sono riuscito a lasciare il mio Paese”. In Italia aveva un caro amico, il famoso falconiere Giancarlo Pirrotta che lo ha messo in contatto con il colonnello. “Quando Ultimo mi ha chiesto di venire qui, all’inizio, te lo confesso, non ho avuto il coraggio, era una periferia abbandonata. Sono andato altrove e ho avuto dei problemi. Sono tornato, ho parlato con il capo che mi ha messo a disposizione tutto. Oggi sono qua, da quasi cinque anni. Lavoro il cuoio e insegno a farlo ad altri ragazzi che vengono da varie situazioni, dalla casa famiglia, ai detenuti a quelli del centro di accoglienza in attesa del permesso di soggiorno, che lavorano e imparano un mestiere invece di bivaccare al bar e, una volta che hanno il documento, sono già pronti per l’inserimento. E nel campo della pelletteria il lavoro si trova. Tornerò in Tunisia solo per rivedere la mia vecchia madre e per vendere le ultime cose rimaste, la mia famiglia è questa, dove vivo ora”.
Muna è etiope, si occupa della cucina del pub/ristorante. “Sono qui dal 2013. Sono scappata dall’Etiopia e ho seguito la trafila dei migranti, mi hanno messa in prigione, poi sono giunta fino in Libia, salita su un barcone e arrivata dal mare, da profuga a Lampedusa. Ho imparato bene il lavoro e sono riuscita a farmi una famiglia, ho due bambini piccoli. Questo è un posto straordinario e anche il nostro Capitano è speciale. Sono contentissima. Qui sono proprio a casa mia”.
L’amore cristiano, quello fatto di vera fratellanza e vera condivisione, è quell’amore incondizionato da cui viene tutto il resto. E la casa famiglia Capitano Ultimo è tutto questo. Anzi, per dirla con Ultimo, “questa è l’unica rivoluzione possibile”.
Sicuro gran cuore! Onore!
Come avere opportunità di spiegare e cercare di risolvere altre difficoltà urgenti? Come beneficiare di tanta solidarietà, anche se in minima parte?
Confido in contatto.
Sabrina
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