Giorni fa mi è capitato di leggere su Facebook un post che ha suscitato in me una forte indignazione. Mi sono sentita indignata in quanto operatrice culturale, da anni, nel settore delle arti e, quel che più conta, mi sono sentita indignata in quanto italiana e cittadina del mondo.
All’interno del mio ristorante, da molto tempo offro spazi ad artisti di qualunque settore, siano essi pittori, attori, scrittori; e da mesi ormai porto avanti, autofinanziandola in prima persona, una rassegna jazz intitolata “il Margutta ‘Round Midnight Jazz Festival”, aprendo le porte ai linguaggi del jazz contemporaneo italiano e inserendo in cartellone sia musicisti già affermati, sia talenti emergenti.
Nel mese di dicembre, il palco del mio locale ha ospitato i Bardamu (Off ne scrisse qui), una band italiana già abbastanza apprezzata all’estero e attualmente in fase di ascesa in Italia. Ne ho potuto apprezzare il talento, il forte respiro internazionale, ed ho goduto nell’ascoltare sonorità meticce che formano parte di un linguaggio in realtà privo di bandiere di ogni sorta.
Giusto qualche giorno fa, sul profilo Facebook di uno dei membri dei Bardamu, leggo un post che mi ha lasciata inizialmente basita e che in seguito, come premesso, è stato fonte di indignazione.
Ginaski (batterista della band), scrive di aver inviato una email all’attenzione del direttore artistico di uno dei festival del jazz più importanti in Europa, parliamo del Voll-Damm Festival Internacional de jazz de Barcelona, domandando il permesso di poter inviare dei link relativi al progetto Bardamu con l’intenzione di “candidare” la band alla prossima edizione del festival.
La risposta, che viene incorporata al post in questione tramite screenshot, ha dell’assurdo: «Puoi mandare tutto quello che vuoi, ma sfortunatamente non credo che sia possibile suonare al festival di Barcellona. Il pubblico qui non ha nessuna curiosità per il jazz italiano.»
In quanto operatrice culturale nel settore delle arti, rimango basita poiché le valutazioni in merito a un progetto non si fanno sulla base della nazionalità di un artista, bensì sulla base di un ascolto attento e scrupoloso – che in questo caso è uno step che è del tutto mancato ab origine – e sulla base di analisi che nulla hanno a che vedere con i passaporti e i paesi di provenienza. Immagino che la direzione del festival riceva centinaia di proposte, ma ciò non toglie che una preselezione basata su parametri di questo tipo sia del tutto fuori luogo e fuori da ogni sorta di logica imprenditoriale, culturale, ma soprattutto umana. Anche noi de il Margutta, riceviamo centinaia di proposte provenienti da pittori, galleristi, film maker, musicisti, manager, registi, e rispondiamo però con cortesia e il giusto rispetto. Le nostre valutazioni possono essere in taluni casi discutibili, da parte del pubblico e/o da parte degli stessi artisti, ma si tratta pur sempre di valutazioni effettuate nella totale buona fede e dettate dal gusto soggettivo di chi si occupa dello scouting.
Rimango basita, inoltre, in quanto mi domando se esistauna musica jazz italiana o spagnola o americana, o se invece esista solo il jazz fatto bene e quello fatto male, o meglio: quello che può piacere o meno ad ogni singolo individuo. Temo altrimenti di non essere all’altezza di occuparmi della direzione artistica del mio di festival del jazz. Per quanto ne sappia il jazz si divide in varie espressioni, come il be-bop, il free, il cool, il latin, e tanti altri derivati, ma sono certa che il jazz non si sia mai distinto per razze ed etnie.
Mi sento indignata in quanto italiana, poiché ritengo che il nostro paese possa ancora vantare delle eccellenze nei più disparati ambiti, e non mi va di accettare che un’istituzione così prestigiosa come il festival del jazz di Barcellona, estrometta a priori dei musicisti talentuosi per il semplice fatto di esser nati nel paese “sbagliato”. Per quanto ne sappia, nel 2011 e nel 2012 il suddetto festival del jazz ha ospitato circa quattro artisti italiani, e se la scelta fosse dettata da uno scarso risultato al botteghino – tanto per fare un’ipotesi – ciò non giustificherebbe comunque l’assenza di jazzisti nostrani da oltre cinque anni all’interno di un festival che si proclama internazionale. E, come vorrebbe far intende il messaggio, se la scelta fosse dettata dal fatto che al popolo catalano non interessa nulla della musica jazz prodotta in Italia, spiace pensare che un direttore di un festival debba adottare tali balle, gettando fango quindi non solo sulla produzione musicale del nostro paese, ma anche sulla sua stessa gente che, secondo quanto si evince, non comprerebbe un biglietto di un concerto jazz di musicisti italiani solo in quanto italiani! Capisco che la Catalogna è la patria del surrealismo, ma in tal caso credo si stia andando un po’ troppo oltre. Mi rifiuto categoricamente di pensare che una città così all’avanguardia e così culturalmente immensa come Barcellona possa scadere in tali spiccioli provincialismi. Non ci credo!
Spero di ricevere feedback da parte di cittadini spagnoli. Mi auguro di ricevere un messaggio di scuse da parte del direttore del festival, il signor Joan Anton Cararach, e mi auguro che questo mio sfogo possa servire a far comprendere a chi ne avesse bisogno che se il razzismo in sé è una piaga della peggiore specie, calato in un linguaggio universale come le arti, diviene un crimine maggiore perpetrato nei confronti dell’umanità tutta, di qualunque colore, razza e religione!