Breccia, il chirurgo stregone che governa la fantasia

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de-cisioneSono mondi immaginari, fantasiosi, veri e propri universi a parte governati da proprie regole quelli dell’artista Pier Augusto Breccia, nato a Trento nel 1943 e che ha cominciato a dipingere alla fine degli anni ’70, dopo avere già avviato una brillante carriera di chirurgo, ottenendo la qualifica di Professore Associato e Primario di Cardiochirurgia. Il pittore, considerato il padre della “Pittura Ermeneutica”, ha organizzato fino ad oggi circa 60 mostre personali producendo un totale di 1150 opere. Non possiamo comprendere fino in fondo i dipinti di Breccia se non si spiega di cosa si tratta, appunto, la citata “Pittura Ermeneutica”, un termine preso in prestito dalla filosofia – in questo caso di stampo heideggeriano – per trasportarlo alla pittura. In parole semplici, l’ermeneutica è la metodologia che ci permette di interpretare un’insieme di segni per arrivare al significato profondo di essi.

In questo senso l’artista decodifica la realtà per mostrarcela attraverso la sua immaginazione e permettendoci così anche d’interpretarla, perché è l’interpretazione il tassello fondamentale, non potendo esistere un punto di vista oggettivo e univoco, ma esistendo invece tanti punti di vista diversi quanti sono gli spettatori. In questo senso, riprendendo il termine teatrale di Jarry, si può parlare anche di “Patafisica”,limprobabile-spazio-dellesserci considerato che l’autore sembra prefiggersi di rappresentare un universo supplementare al nostro, governato da leggi proprie.

Osservando da vicino queste opere, perlopiù di grandi dimensioni, ci sentiamo veramente catapultati in un mondo altro, che apparentemente potrebbe apparire completamente avulso dal nostro, quando in realtà possiede in sé una grande quantità di elementi che riguardano l’essere umano, proprio perché questi dipinti indagano ciò che sta sotto la sfera reale, osservandola, per così dire, dal basso e dal profondo e non dall’alto, come siamo abituati, dando di questa un’interpretazione soggettiva kantiana, escludendo con tutte le forze l’oggettività. Si tratta di composizioni portatrici di temi significativi. “La mensa del magnifico”, “La laguna del silenzio”, “L’improbabile spazio dell’esserci”, “De-cisione” – che mette l’uomo davanti all’aut-aut della scelta, bilancia-cosmicaobbligandolo a prenderne una delle tante, raffigurate da medaglioni giganti -, sono titoli che già da soli ci mostrano la loro natura poetica, ieratica, filosofica.

Dal punto di vista stilistico si tratta di lavori contraddistinti da una precisione geometrica e armonica ineccepibile, nonché da colori vivi, puliti, a volte in contrasto tra di loro, che rendono queste opere come virtuali, accentuandone tramite la tecnica la tridimensionalità, resa sovente quasi scultorea. Da una parte Breccia può ricordarci De Chirico e più in generale la corrente “Metafisica”, ma questo è solo un piccolo spunto che può venire alla mente, perché in realtà Breccia è solo Breccia senza potendoci vedere nessun altro, e i suoi straordinari mondi parlano per lui, stupendoci continuamente.