Oltre i burqua e le minigonne: liberate le donne!

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Ecco, questa volta possiamo soggiacere anche noi alla retorica del libro: “Siamo tutti puttane. Contro la dittatura del politicamente corretto” (Marsilio, pp.28, Euro 16.50) di Annalisa Chirico è un testo liberatorio. Lo è per tutti: per le donne e gli uomini che ne faranno il proprio manifesto di vita (si spera, anche per loro); ma anche per chi ha sempre svolto mentalmente certi ragionamenti ma poi non ha avuto la forza o il coraggio di esporli fino in fondo, di armare una battaglia contro il più pericoloso dei dittatori: il senso comune.

Heidegger parlava della “chiacchiera”, del “si dice” che domina le nostre vite, anche, e forse soprattutto, quando contrasta con i nostri comportamenti effettivi. In questo caso, il luogo comune, quasi un dogma del discorso pubblico, è che la donna occidentale viva una condizione di degradazione e mercificazione del proprio corpo perché deve soggiacere a stereotipi impostigli dall’immaginario maschile: da una società che la vorrebbe sempre bella, seducente, ammiccante, sessualmente pronta e disponibile a far contento il maschio. Qualcuno si è spinto a dire che non vede differenza fra un burqua e una minigonna!

Puro chiacchiericcio, a cui, non so se consapevolmente, Annalisa oppone una strategia ugualmente heideggeriana: il “puttanismo”, chiamiamolo così, è un modo di essere del genere umano in quanto tale, un “esistenziale” direbbe il filosofo. E spiega: “cerchiamo tutti, ciascuno come può, di districarci nel complicato universo dell’esistente, vogliamo arrabattarci, sgomitiamo per conquistare il nostro posto nel mondo”. Anche chi vuole essere umile e vivere appartato, lo fa in riferimento agli altri e deve aggraziarseli perché il loro giudizio sia confacente al suo scopo di vita. Ognuno, per realizzare i suoi obiettivi e costruire la sua identità, usa pertanto le armi che ha a disposizione, e tutti ne hanno in un’estrema varietà che fa la bellezza della vita.

Da coerente liberale, l’autrice vuole solo dirci che dovrebbero poterlo fare in regime di perfetta autonomia senza che una Morale Unica, o peggio di Stato, o ancora e appunto il Senso Comune, ci dicano come e quando. D’altronde, i rapporti di forza e di potere che si instaurano fra gli umani sono sempre dinamici e non definibili: non è detto a priori nemmeno che sia sempre il pappone a condurre il gioco nei suoi rapporti con la puttana. Né si può oggi affermare, perpetuando un dualismo fra anima e corpo che non ha più ragione di esistere, che un’arma seduttiva, il nostro aspetto fisico, sia superiore all’altra, l’intelligenza: entrambe, e tutte le mille altre a nostra disposizione, investono intera la nostra personalità. Affermare il contrario, significa assumersi il fardello di una visione teologica, e teologale, della vita.

Quanto teologismo, ad esempio, nelle ultime sedicenti “femministe”! Come è potuto accadere che quella vena libertaria che aveva il primo femminismo italiano si sia col tempo trasformata nel suo contrario? La libertà di espressione e godimento sessuale non era un postulato? Non è che il processo involutivo, perché di questo si tratta, è stato manovrato ad arte da centrali politico-ideologico fin troppo attive? Con gli anni, per fare solo degli esempi, L’Espresso ha tolto dalle copertine quei nudi che ce lo facevano vivere da piccoli come un alleato della nostra emancipazione. E persino le veline di “Striscia” hanno dovuto sempre più ricoprire i loro tondi e allegri posteriori.

Fino al giorno in cui, dal palco di una manifestazione romana, abbiamo assistito alla più surreale delle scene: le sedicenti “femministe” appellatesi “se non ora quando?” a braccetto con una suora che portava la sua vita a modello per tutte. Il tutto in nome della lotta al grande Satana, quel Berlusconi accusato di avere una vita privata (sic!) dissoluta e di avere contribuito alla creazione di una comunicazione, televisiva e non, basata su culi e tette (fra parentesi: e se il Cav. passasse alla storia, che come è noto ha una sua astuzia, come l’inconsapevole secolarizzatore di una società bigotta?).

La stessa solidarietà fra donne, che era un pilastro del primo femminismo, ha ceduto il posto a un discriminante razzismo verso chiunque non avesse una visione casta della propria corporeità, bollata come donna di serie b e schiava del sistema. Il merito del libro è di intrecciare gli episodi della nostra vita politica recente con richiami al più sofisticato dibattito scientifico, soprattutto internazionale. Ed è questo un elemento che sicuramente spiazzerà le talebane che vogliono comprimere la libertà umana. Che è anche libertà di scambio, che ognuno fa per mille motivi, unicamente suoi, senza che nessuno sia autorizzato a intromettersi se non richiesto.

A chi dice che “la donna sarebbe ridotta a merce e oggetto di scambio”, con arguzia Chirico fa osservare che “quando il fruttivendolo mi porge la busta colma di cavoli e zucchine, io non mi pongo mai alcuna domanda sui suoi drammi interiori, sulla sua famiglia, sulla sua coscienza”. Vista poi la rapida carriera delle nuove “femministe” sorge il dubbio che il loro integralismo sia interessato, volto a conquistare un posto in quota in cda o al parlamento. C’è anche tanta politica in effetti in questo libro, essendo Annalisa Chirico attivista radicale e impegnata in molte battaglie per i diritti civili. Le pagine sul fallimento della Legge Merlin sono, ad esempio, informatissime e brillanti nel mostrare l’eterogenesi dei fini di normative ideologiche che volendo imporre una morale di Stato hanno finito per fare dell’Italia un’enorme BUCA (Bordello Unico a Cielo Aperto).

Un solo avvertimento: non leggete il volume come fosse una provocazione intellettuale o un gesto futuristico, sarebbe far torto ad esso. Il libro è soprattutto un atto di verità e onestà intellettuale. E come tale va apprezzato e valutato.