Un Fichte autarchico, utopista e poco europeo

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È ben più noto per il Discorso alla nazione tedesca e La dottrina della scienza. Ma l’utopismo socialista e il nazionalismo di questo suo testo minore risvegliano la curiosità.

Johann Gottlieb Fichte
Johann Gottlieb Fichte

Lui è Johann Gottlieb Fichte e molti di noi a sentirne il nome sussultano pensando al professore che ci ha spiegato – spesso male – il suo idealismo al liceo. Leggendo Lo stato secondo ragione o lo stato commerciale chiuso. Saggio di scienza del diritto e d’una politica del futuro (Ed. La vita felice, pp. 200, € 14,50) il sussulto si affievolisce. Perché Fichte si occupa delle faccende dei comuni mortali con un libro di filosofia politica.

Fichte è attuale per chi non vede di buon occhio la globalizzazione. Pubblicato nel 1800, comparso in Italia dallo storico editore Bocca dal 1909 al ’45, quindi scomparso, è riproposto in una nuova traduzione, ma resta intatta la postfazione di Giovanni Gentile. Fichte considerava Lo stato secondo ragione una delle sue opere meglio riuscite e di certo molti ne converranno con lui. lo-stato-secondo-ragione-o-lo-stato-commerciale-chiuso-360166-1Vi è esposta una teoria economica e politica di primitiva semplicità, in cui la giustizia sociale dev’essere lo scopo di chi governa, stando ben attento a non lasciare arricchire i pochi condannando alla miseria la maggioranza dei “sudditi”.

Oggi si chiamano cittadini e di questi abnormi squilibri economici sanno anche troppo, soprattutto da quando i confini nazionali si sono sciolti nel nome dell’Europa unita. La quale a Fichte non piacerebbe affatto. Il suo ideale di Stato è infatti l’opposto: “mercantilistico e attento ai benefici che si credono recati dall’autarchia, basato sui ceti sociali”. In breve, un eden in cui si dovrebbe produrre e consumare tutto entro i confini nazionali: dogane chiuse e pance piene. Un’utopia, certo. La quale, tuttavia, oggi metterebbe d’accordo quel che resta dei comunisti con l’estrema destra e certe frange della lega. Sta qui la sua attualità. Fermo restando che, per quanto passino i secoli, i filosofi non invecchiano mai.