105 anni fa il Manifesto della musica futurista

0

Abbiamo già trattato, sulle pagine di OFF, della rivoluzione futurista in musica in occasione dell’anniversario de L’arte dei rumori di Luigi Russolo. A pochi giorni di distanza, cade un secondo anniversario: il 29 marzo 1911, Francesco Pratella dava alle stampe La musica futurista – Manifesto tecnico. Esattamente 105 anni fa, il «Balilla Pratella» (così si firmò nel suo trattato) si prefisse di tradurre in un corposo manifesto quelle che dovessero le caratteristiche tecniche e compositive richieste alla musica futurista.

Non mancano, naturalmente, nonostante l’elevato tecnicismo di alcuni passaggi, le frecciate di tipico sapore futurista. A partire dall’esordio stesso del Manifesto: «Tutti gli innovatori sono stati logicamente futuristi, in relazione ai loro tempi. Palestrina avrebbe giudicato pazzo Bach, e così Bach avrebbe giudicato Beethoven, e così Beethoven avrebbe giudicato Wagner. Rossini si vantava di aver finalmente capito la musica di Wagner leggendola a rovescio! Verdi, dopo un’audizione dell’ouverture del Tannhäuser, in una lettera a un suo amico chiamava Wagner matto!». In questo folle pantheon musicale del passato – Pratella lo definisce «un manicomio glorioso» – è evidente che «il contrappunto e la fuga, ancor oggi considerati come il ramo più importante dell’insegnamento musicale, non rappresentano altro che ruderi appartenenti alla storia della polifonia».

Da qui, l’ottica compositiva futurista giunge a soluzioni davvero pionieristiche e rivoluzionarie nell’avanguardia, ovvero un abbandono dell’orizzontalità – l’armonia propria della tradizione operistica italiana – per un approdo alla verticalità, all’armonia: «Si concepisca invece la melodia armonicamente; si senta l’armonia attraverso diverse e più complesse combinazioni e successioni di suoni, ed allora si troveranno nuove fonti di melodia. Si finirà così una volta per sempre di essere dei vili imitatori d’un passato che non ha più ragione di essere, e dei solleticatori venali del gusto basso del pubblico». Seppur con parole provocatorie, Pratella fornì alla musica italiana la via d’uscita anticipando di ben tredici anni le simili teorie armoniche del Treatise on Harmony di Ezra Pound.

L’avanguardismo di Pratella e dei futuristi, già abbondantemente attestato, diventa davvero sorprendente in un ulteriore passo del Manifesto: «Noi futuristi proclamiamo che i diversi modi di scala antichi, che le varie sensazioni di maggiore, minore, eccedente, diminuito, e che pure i recentissimi modi di scala per toni interi non sono altro che semplici particolari di un unico modo armonico ed atonale di scala cromatica. Dichiariamo inoltre inesistenti i valori di consonanza e di dissonanza». Questa è, in embrione, nientemeno che la teoria dodecafonica che Schoenberg elaborava proprio in quegl’anni e che pubblicò ben dodici anni dopo Pratella, nel 1923.

Dopo aperta adesione all’enarmonia e alla poliritmia, Pratella provoca: «Tutto ciò sarà possibile quando, disertati i conservatori, i licei e le accademie, e determinatane la chiusura, si vorrà finalmente provvedere alle necessità dell’esperienza, col dare agli studi musicali un carattere di libertà assoluta». Una libertà che, in conclusione, deve riguardare anche la creazione dei testi a causa della «necessità assoluta che il musicista sia autore del poema drammatico o tragico per la sua musica. I versi scritti da altri costringerebbero il musicista ad accettare da altri il ritmo per la propria musica».

Articolo precedenteIl realismo magico e speranzoso di Gino Castelli
Articolo successivoStrauss: non c’è politica senza filosofia
Mattia Rossi
Nato a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1986. Orgogliosamente piemontese e monferrino: ama la tavola, il vino e la nebbia della sua terra. Ha studiato Canto gregoriano a Milano e Lettere a Vercelli. Si occupa prevalentemente di musica (tutta: dal gregoriano alle avanguardie) e recensioni librarie. Ha al suo attivo diversi articoli sul canto gregoriano, sulla musica sacra, sulla musica nella "Commedia" di Dante e sulla musica trobadorica pubblicati in riviste internazionali. È anche autore dei volumi "Le cetre e i salici" (Fede&Cultura, 2015), "Rumorosi pentagrammi. Introduzione al futurismo musicale" (Solfanelli, 2018) e "Ezra Pound e la musica" (Eclettica, 2018). Giornalista e critico musicale, collabora con «Il Giornale», «Il Giornale OFF» e «Amadeus».