Quant’è difficile fare Pirandello oggi? Lo sanno bene Geppy Gleijeses, Marianella Bargili, Marco Messeri, Vincenzo Leto, Renata Zamego e Francesco Benedetto, i quali hanno deciso di imbarcarsi nell’allestimento de “L’uomo, la bestia e la virtù”, guidati da Giuseppe Dipasquale. Non è un’impresa semplice perché bisogna conoscere a fondo l’autore siciliano per metterlo in scena e, al contempo, ci si deve far trascinare dalle intuizioni che possono arrivare facendolo di sera in sera. In questo rientra anche la difficoltà del linguaggio e il lavoro da fare sui temi, certo rivoluzionari nei primi anni del Novecento, oggi meno appetibili in tal senso tanto più nel particolare di quest’opera legato alla questione figli legittimi e illegittimi.
Ricavato nel 1919 dalla novella “Richiamo all’obbligo”, questo testo è diventato un classico come tanti altri di Pirandello, ma non per questo è scontato che possa piacere ai giorni nostri. I protagonisti sono, come indica il titolo simbolicamente, l’uomo-il professor Paolino (Gleijeses), la bestia-il capitano e marito (Messeri) e la virtù-la signora Perella (Bargilli). Il primo si veste di colori pastello, ma è anche indicativamente incelofanato quasi a figurare la maschera di un finto perbenismo, il secondo porta sulla giacca delle tracce “da orso” e l’ultima ha un’evoluzione negli abiti su cui spicca quello del momento della cena. Durante quest’ultima il professore cerca di far mangiare al capitano un cibo afrodisiaco cosicché possa essere “accusato” lui di una conseguenza.
«Chi è imputabile? L’intenzione, è vero? Non il caso. — Se tu l’intenzione non l’hai avuta! — Resta il caso. — Una disgrazia!», dice Paolino al medico a cui chiede aiuto raccontando l’accaduto tramite il discorso dell’albero nato in un campo abbandonato, un’immagine che tornerà nel monologo (inventato per l’occasione) che la donna fa al pubblico con un tono accorato. Lei e l’amante giustificano l’accaduto (è rimasta incinta del professore) imputando la causa all’assenza del marito e al suo non vederla come moglie anche le volte in cui fa ritorno a casa.
La cifra tragicomica tipicamente pirandelliana, “mossa dopo mossa” corrode dall’interno il realismo caratteristico del dramma borghese e ad enfatizzare il tutto ci pensano il mood recitativo e le indicazioni registiche. La signora Perella appare, infatti, come una geisha per alcune scelte di trucco e parrucco, mentre nella gestualità richiama la marionetta e ci piace pensare anche un po’ i pupi siciliani, in omaggio all’autore.
Dipasquale prende la materia viva del teatro del grottesco presente anche in “L’uomo, la bestia e la virtù” e la esaspera ancora di più con il surrealismo della scena e alcuni accenti attoriali. Va detto che la percezione di bestialità insita nell’umano viene suggerita pure dagli abiti (curati da Adele Bargilli) e da movenze ad hoc (vedi la cameriera). Questa compagnia è brava nel non far scadere tutto in farsa, la seconda parte ha innegabilmente più ritmo grazie anche al mattatore Messeri, ma il tutto riesce proprio per la giusta misura.
Il cast indossa le parti cucendole su di sé, esaltando proprio il gioco delle parti e, nel secondo atto, cercando di rimanere in equilibrio su quel piano inclinato da cui si può scivolare da un momento all’altro proprio come nella vita.
Una verità su tutte ci sembra sempre molto attuale e ve la riportiamo con le parole di Pirandello:
«Perella: Ma perché si adira così? Ah! ah! ah! ah! Come c’entrano adesso le mogli, scusi? Noi stiamo parlando delle donne…
Paolino: E che non sono donne, le mogli? Che cosa sono?
Perella: Ma saranno anche donne… qualche volta… sì…
Paolino: Ah… qualche volta, sì! Lo… lo ammette dunque, che qualche volta il marito deve pur considerarla come una donna, la moglie!»
…e state molto attenti alle ultime battute finali, chiave del tutto, in cui i ruoli si capovolgono.
Lo spettacolo è in scena fino al 31 gennaio al Teatro Manzoni di Milano e proseguirà la tournée.