Aldo Damioli (classe 1952) vive appartato a Milano, ma è come se fosse sempre in viaggio. Il suo, è un peregrinare del tutto onirico, fatto di paesaggi – dipinti alla maniera degli antichi – che forse non esistono, anzi che non esistono se non nello sguardo dell’artista. Così nascono le sue città lagunari, venezie che però sono newyork; newyork che, rapprese con lo stile terso di Canaletto, sembrano venezie settecentesche. Una sorta di realismo magico, misto a una ricordanza più di tipo metafisico, rende questi squarci assoluti nella loro rigida compostezza architettonica.
Lo si evince, appunto, nella serie Venezia-New York (per serendipità in mostra alla Biennale 2015 al padiglione della Repubblica Araba Siriana sull’isola di San Servolo) in cui la grande metropoli appare perfettamente riconoscibile, ma “sospesa e congelata in un’atmosfera senza tempo – spiega la curatrice Silvia Fabbri – irreale e immobile, in una staticità eterea, costruita sulla tela con perfezione geometrica e ossessivo rigore cromatico, con la luce quasi irreale, chiara e limpida di alcune giornate terse dei ricordi d’infanzia”.
Così la Grande Mela, simbolo della caotica megalopoli occidentale, assume i toni non consueti di una città di mare, di una città fluviale, placida e serena, quasi agreste nelle atmosfere sospese, in cui l’uomo è una non-presenza altrettanto silenziosa che si nuove su uno sfondo a tratti iper-realista (nel senso primo di oltre la realtà): “Voglio rappresentare il substrato astratto – dice non a caso Damioli – l’immagine calibrata, asettica in un certo qual modo del paesaggio, dove niente rimanda al flusso della realtà”.
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Curatore: Duccio Trombadori