Iniziamo dalla categoria più avvezza al plagio. Ambrose Bierce nel suo Dizionario del diavolo definì il plagio come l’azione di “Riprendere concetti o stile da un altro scrittore che non si è mai assolutamente letto”. Un aforisma che si attaglia perfettamente ai giornalisti, specie nell’era del Crtl+c/Ctrl+v, i quali – tanto per citare Karl Kraus – cercano di spiegare agli altri quello che non sanno loro.
Il caso più famoso fu quello di Jayson Blair, giovane reporter di punta del “New York Times”, a un passo dal Pulitzer prima che si scoprisse, nel 2003, che i suoi reportage in giro per l’America (per inciso, splendidi) erano tutti un po’ copiati, un po’ fabbricati a tavolino. Si dimostrò impietosamente che la penna più brillante d’America scriveva i reportage restando a casa, aggiungendo particolari inesistenti, in- ventandosi le fonti e scopiazzando qua e là i pezzi dei colleghi “sul campo”. La cosa provocò il suo licenziamento “per frodi giornalistiche”.
E c’è il caso di Fareed Zakaria, tra i più autorevoli analisti politici americani, commentatore del “Times”, editorialista di punta della Cnn, vero guru dei nuovi scenari strategici del terzo millennio, vicino all’amministrazione Obama. Nell’agosto 2012 i facts-checker del sito conservatore “NewBusters“ denunciarono la scopiazzatura in un suo pezzo di un passaggio da un articolo della storica Jill Lepore dedicato allo stesso argomento apparso sul “New Yorker” mesi prima. Scandalo, polemiche, mea culpa pubblico, sospensione di tutte le collaborazioni giornalistiche. Uno dei più influenti opinionisti americani impallinato dai cecchini dell’infrazione etica per un paragrafo copiato! Se i facts-checker fossero operativi anche in Italia, ci sarebbe un giro di valzer di direttori di testata ogni quindici giorni.
Prendiamo per esempio: “Repubblica”, anzi “Ri-pubblica”. Negli ultimi anni molte firme del quotidiano democratico- progressista, in evidente contraddizione morale con l’assunto legalitar-chic della linea editoriale, sono scivolate sull’accusa di plagio… Umberto Galimberti, Corrado Augias, Vittorio Zucconi, Federico Rampini, e l’intellettuale di punta della testata, Roberto Saviano.
Quello di Umberto Galimberti è forse il caso più eclatante che riportiamo a futuro monito. Francesco Bucci, ironia della sorte un (ex) ammiratore del professore, che per anni non si è perso un articolo del proprio filosofo di riferimento a un certo punto, colto dal dubbio di aver già sentito troppe volte quelle cose, scopre che i lavori di Galimberti sono costruiti utilizzando pezzi di scritti precedenti, suoi o altrui. Non hanno consequenzialità, i vari pezzi talvolta si contraddicono l’un con l’altro. Ripete esattamente le stesse parole in conferenze, convegni e occasioni diverse. E poi ha sicuramente un archivio tematico, nel quale pesca a seconda delle occasioni. Aggiunge qualche riga per cucire insieme i pezzi e apporta alcune modifiche. Di originale rimane pochissimo, quasi nulla. Sembra un enorme lavoro di copiatura o, quando va bene, di parafrasi: di Heidegger, di Jung… E i suoi lavori, assemblati con materiale più volte riciclato, non hanno più alcun senso. Il saggio I miti del nostro tempo (2009), dimostra Bucci, dati e statistiche alla mano, è costituito al 75% da un “riciclaggio” di suoi scritti precedenti, alcuni dei quali risalenti persino agli anni Ottanta, e per il restante 25% da intere frasi e paragrafi, quasi identici agli originali, senza virgolette e senza citare la fonte, presi da: Günther Anders, Benjamin Barber, Roland Barthes, Jean Baudril- lard, Amy Chua, Chris Hedges, James Hillman, Martha C. Nussbaum, Muhammad Yunus… Un taglia&incolla furioso, compulsivo e particolarmente redditizio in termini economici, vista la frequenza delle uscite editoriali e delle comparsate televisive del professore-serial copier.
E che dire di Corrado Augias, giornalista di chiarissima fama, volto televisivo di punta della cultura pop e firma notissima di “Repubblica”. Nel maggio 2009, nel momento di massima ascesa mediatica del saggio scritto a quattro mani dal laico Corrado Augias e dal teologo Vito Mancuso, Disputa su Dio e dintorni (Mondadori), quando il titolo è al primo posto nelle classifiche dei libri più venduti in Italia, deflagra la polemica. Un docente dell’Università di Trento legge a poca distanza di tempo il libro di Augias-Mancuso e il saggio del celebre biologo di Harvard, Edward Osborne Wilson, La creazione (uscito in Italia da Adelphi nel 2008) e si accorge che qualcosa non torna. Si accorge cioè che la pagina 246 della Disputa che ospita le conclusioni di Augias, un passo peraltro fondamentale che dovrebbe tirare le somme di tutte le riflessioni precedenti, e dove Augias parla in prima persona, è identica alla pagina 14 dell’edizione italiana de La creazione di Wilson.
Che fare? L’autore della scoperta avvisa le due case editrici italiane, poi ne parla a un collega di Università, il quale invia una letterina al “Foglio” di Giuliano Ferrara, notoriamente goloso di polemiche giornalistiche e interessatissimo alla “disputa” attorno a Dio tra atei e devoti. A quel punto, visti i nomi coinvolti, la grande stampa si avventa sul caso: si pubblicano pezzi ironici più che indignati, si dà conto del brano prelevato, si intervistano i protagonisti della vicenda, si scherza sul fatto che l’ateo Augias non trovi Dio perché lo cerca su Internet.
Intanto il co-autore Vito Mancuso si dice amareggiato e completamente sbalordito della cosa, chiedendosi alla fine con chi discuteva lui: con Wilson o con Augias? I due, comunque, da allora non hanno più scritto insieme. La grande firma di “Repubblica”, con il consueto aplomb, ammette l’errore, un mea culpa sincero: non ha letto il saggio di Wilson, ha pescato il brano tra le fonti anonime di Internet “prestando poca attenzione alla fonte di quel passaggio in fase di scrittura” – ma noi ipotizziamo che la colpa sia di un ghostwriter o di un ragazzo di bottega – e assicura che nelle successive edizioni sarà dichiarata la citazione… E in effetti, il libro di Wilson non compariva neppure nella bibliografia, dove, invece, c’è spazio persino per i titoli “filosofici” di Eugenio Scalfari, fondatore e direttore in pectore del quotidiano di entrambi gli autori. Dal plagio alla piaggeria.
Ma tralasciando i giornalisti, nel mondo sono stati beccati a copiare i politici, i comici, i compositori, gli sceneggiatori, i drammaturghi… e ovviamente i letterati la cui cleptomania risale ai tempi dei tempi. Tra citazioni, traduzioni, cover, pastiche, rimandi consapevoli e inconsapevoli, gli scrittori non hanno mai smesso di rubarsi l’un l’altro, versi, frasi, titoli, ambientazioni: da David Foster Wallace a Shakespeare, da Borges (campione del plagio/finzione) a Scurati, passando per Raymond Carver, Dumas, Camus, Leopardi (che prese a prestito la locuzione “passero solitario” da un oscuro madrigalista), D’Annunzio, Montale, Umberto Eco, perfino Melania Mazzucco (che riutilizzò, così senza colpo ferire, interi passi testuali nientepopodimeno che di Guerra e Pace, sostenendo che li aveva introiettati da bambina).
Ah, a proposito, anche questo mio articolo è praticamente copiato pari pari da un gustoso saggio appena uscito di Luigi Mascheroni Elogio del plagio. Storia,
tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale al web (Aragno, pagg. 270, euro 20), una acribiosa, sapida enumerazione, fitta fitta di note e rimandi, di tutti quelli che hanno copiato nella storia della letteratura, alcuni con esiti geniali, altri ridicoli.
Che, i comunisti non dicono mai la veritá, questo é una Cosa certa,e anche Saviano non e meglio di Umberto Galimberti, ma per il vil denaro uno é pronto a scrivere quello che il sistema comunista in italia vuole, non ci faciamo illusioni perche al giorno d,oggi un Filosofo, un Giornalista oppure uno Scrittore senza il volere del sistema comunista Italiano é destinato a fare la fame, ed é per questo che i vari Saviano,Ccamilleri e Umberto Eco si sono piegati a questo Sistema!.
corrado Augias chi ? quello amico degli aguzzini dell’europa dell’est ? quello dalla voce soffusa e idee urlanti ? se e quello , beh ! è normale che copia , questo personaggio , non può coniugare un pensiero o idea complessa e allora deve fotocopiare .
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