Prendo in prestito Gianluca Ramazzotti

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Antonio Catania e Gianluca Ramazzotti ne Il Prestito
Antonio Catania e Gianluca Ramazzotti ne Il Prestito

Avevo lasciato Gianluca Ramazzotti su un Boeing Boeing con Gianluca Guidi, quando la scorsa stagione facevo la hostess su un volo della mia fantasia diretto a Parigi. Ora lo ritrovo in banca. E’ venuto a chiedere un prestito a Antonio Catania. La crisi di oggi non risparmia nessuno. Ci diamo così appuntamento per fare quattro chiacchiere “Off” al Teatro Manzoni, dove fino a domenica 26 aprile è in scena Il Prestito, di Galceran, catalano dalla penna brillante. E’ la storia di un uomo che chiede un piccolo prestito in banca che gli viene negato, e reagisce minacciando il direttore della filiale con un gesto estremo: andare a letto con sua moglie. Ma non pensate che ci sia qualcosa di personale, è solo colpa della congiuntura economica e del sistema neoliberale. Ramazzotti arriva al nostro incontro con un gran sorriso e mi chiede subito: “Hai visto lo spettacolo? Hai visto come è diverso il mio nuovo personaggio, Antonio, da quello di Boeing Boeing?”. E’ davvero fantastico Gianluca. E’ lui a intervistare me. “Ho fatto un lavoro che è andato a scavare molto più interiormente per arrivare vicino al pubblico – continua. “ In Boeing Boeing ero un bamboccione infantile e ho potuto giocare sull’effetto facile. Nel Prestito sono entrato in profondità per creare un personaggio in cui il pubblico oggi si riconosce”.

E come lo hai costruito?

Non è stato facile. Insieme al regista Giampiero Solari abbiamo proceduto per intuizioni, creando una figura remissiva all’inizio, poi una vittima subdola fino alla scelta di mandare Antonio contro il direttore della filiale di banca in maniera paritetica, in un originale testa a testa, tanto da confondere la vittima col carnefice che battuta dopo battuta si scambiano i ruoli e le situazioni cambiano prospettiva cominciano a girare, proprio come la scenografia. Come la vita.

Il Prestito è uno spettacolo basato su contraccolpi, un gioco di fioretto, quasi una sfida sportiva, incentrato sulla meccanica psicologica dei personaggi. Ma se invece di un uomo ci fosse stata una donna direttore di banca?

Non avrebbe funzionato. Nel gioco di potere e nell’immaginario collettivo questo ruolo puo’essere solo maschile. Ma in questo testo vince la donna. E’ lei che si arrabbia perché il marito non ha concesso i 3000 euro a un uomo che ne aveva un disperato bisogno. E’ lei che si oppone al sistema, che non lo accetta più. In questo spettacolo la figura femminile ribalta la situazione, vive senza essere in scena ma è assolutamente presente e determinante. Ed è bello che non ci sia perché il pubblico puo’ immaginarla come vuole, indipendentemente dalla foto che campeggia nell’ufficio del marito

Come hai scoperto questo testo?

Avevo già letto e portato in scena Parole Incatenate di Jordi Garcelan tramite Pino Tierno che ne aveva curato la traduzione. Due anni fa lo stesso Garcelan spedì il suo nuovo lavoro a Pino e così lo abbiamo letto. Mi ha subito conquistato. E’ un testo scritto con leggerezza ma che arriva ad essere dilaniante. Mi è piaciuto per la tematica fortissima legata alla famiglia e alla crisi economica mondiale. Facciamolo! ho detto. E ho pensato subito a Giampiero Solari per la regia. Che è stato determinante. Ha fatto un’analisi del testo e ha creato la scena che gira con le veneziane che si aprono e si chiudono e che permettono al pubblico di spiare, osservare ogni movimento, cogliere tutte le espressione del volto dei due protagonisti. La scena è molto importante. Questo è uno spettacolo da gran teatro e infatti siamo al Manzoni.

C’è un autore come Garcelan in Italia?

Sì, è Stefano Massini. Lo dico perché è così e non perché abbiamo un progetto gigantesco insieme di cui ora non posso ancora dirti nulla. E lo dico non perché ho visto The Lehman Trilogy ( in realtà ho letto solo il libro). Ma perché Massini è la persona giusta che lavora con il giusto spessore per questo mio nuovo progetto.

Come si capisce che un testo è adatto per il teatro?

Quando la scrittura è talmente forte che ti lascia quasi folgorato e ti porta a dire “va fatto subito”

Torniamo al personaggio de Il Prestito, un uomo disperato che ha bisogno di soldi ma che per la banca non soddisfa i requisiti minimi di garanzia.

E’ un individuo non solvibile ma con un senso ideologico preciso: rompere un sistema. E questo gli dà più spessore. “Faccia qualcosa di generoso per rendere felici gli altri” dice al direttore della filiale. “Conceda prestiti, sia coraggioso, non pensi alle sue responsabilità e alla procedura…”

Tutto quello che ha però è solo la sua parola d’onore…

Esattamente, e non basta. Ed è a questo punto che è costretto a un atto estremo. Ma sia chiaro, nulla di fuorilegge, solo sedurre la moglie del direttore con tutto il suo affetto.

Prenderla in Prestito insomma…

Proprio così, in Prestito!

A proposito di atto estremo, cosa pensi di quanto è accaduto in Tribunale a Milano?

E’ stato il gesto di un uomo disperato che ha commesso un’azione deprecabile, assurda, da condannare totalmente. Ma questo gesto è la prova che c’è un qualcosa che è cambiato nel Paese e che la gente non si sente più protetta e questo clima di insicurezza influisce e incide sulla psicologia delle persone più labili e folli. Oggi esiste un sistema che non è che induca a questi estremi però non è in grado di farci sentire coi piedi per terra. Ci sentiamo sempre più spesso sull’orlo del precipizio. Ribaltando quanto accaduto a Milano da un punto di vista drammaturgico, il mio spettacolo entra in questa situazione estrema e la osserva attraverso la lente di ingrandimento del teatro.