I tarocchi di Pietro Weber (e l’unico film di Anna Oxa)

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Dai tarocchi all’eremita. Smazzando questo racconto secondo gli Arcani maggiori, partiamo con “L’Imperatore”, se non altro perché la scenografia è quella del Palazzo assessorile in Cles, decorato in modo formidabile da Marcello Fogolino (1483 ca.-1558), secondo la moda rinascimentale, un intrico di satiri e tritoni, leoni ruggenti, donne struggenti e il monogramma seduttivo, “Anna” (riferito alla domina, Anna Wolkenstein), ora antro per mostre raffinatissime.

Il secondo Arcano è “Il Matto”, cioè l’artista, la creatura che innocentemente semina il caos nel carcere dell’ordine. Il folle è Pietro Weber, scultore che lavora in ostinata solitudine, a Denno (Tn), che dagli Ottanta ha esposto un po’ ovunque. La sua arte, innocente e non innocua, dà vita a forme-feticci che sembrano estrapolate nel Sahel, dai torbidi africani, oppure sono profezia di una umanità rianimata dal disastro. Figure magiche, forme davanti a cui inchinarsi, che agiscono con la violenza di icone. La carta del “Matto” s’incrocia con quella del “Bagatto”, o meglio, del “Mago”, che in questa storia si chiama Ruggero Miti. Nato attore (era nel mitico Conte di Montecristo realizzato dalla Rai, nel 1966, con Ugo Pagliai, Piera degli Esposti, Andrea Giordana), si converte alla regia, diventando, proprio per la Rai, un autore importante (di trasmissioni epocali come Dribbling, Portobello e Mixer), realizzando progetti giornalistici (con Gianni Minà) e diversi videoclip con i più grandi cantautori della nostra storia musicale (da Lucio Dalla a Gianni Morandi, Gino Paoli e Francesco De Gregori; curiosità: nel 1979, su soggetto di Lidia Ravera e musiche di Ivano Fossati, gira il primo film, Maschio, femmina, fiore, frutto, con protagonista Anna Oxa).

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“Il Mago” di Pietro Weber associato alla carta di Salvador Dalì

Miti, “Il Mago”, incontra un giorno “Il Matto”, Pietro Weber, e l’esito dell’incontro è una mostra, La torre e la luna, in atto a Cles fino al 17 maggio, in cui «Pietro Weber dialoga con l’arte dei tarocchi della collezione Miti», cioè, per intenderci, con carte vergate da Dalì, da Milo Manara, realizzate sui cartoni di Giulio Romano e di Bruegel, naturalmente non mancano i Visconti. «Fu Luchino Visconti, per altro, a regalarmi il primo mazzo di tarocchi», ricorda Miti, la cui collezione supera i 150 mazzi. Tra gli aneddoti, Miti ricorda «Lucio Dalla e Francesco Guccini che passavano le giornate, in una osteria di Bologna, a giocare con le carte dei Tarocchi», e a Gianni Minà, che ha raccolto una intervista pubblicata nel catalogo della mostra, racconta gli anni a New York, quando «era incredibile contare le limousine che si fermavano per far scendere broker o clienti che andavano a farsi leggere le carte prima di entrare in azione in borsa». Per lo più, la mostra mette in scena un tema irruente e poco considerato: che legame si situa tra l’artista e la magia, tra l’arte e il suo potere divinatorio? Smazzo le carte dei tarocchi, sbuca “L’Eremita”. Tento la risposta inoltrandomi nei boschi che cingono Cles, come un pellegrino mi rivolgo al santuario dedicato a San Romedio, l’eremita che, secondo la tradizione, intorno all’anno Mille abbandona gli averi per pregare tra le rupi, rabbonendo gli orsi (perciò, per tradizione, il santuario ospita orsi malmessi o in cattività, attrazione per i non rari passanti). Il portale sbatte in faccia al pellegrino l’arcano distico: «Fatto stupendo, o cosa strana! L’orso, la belva si fa umana./ Stupor maggior che l’uomo nato, in belva or cerchi esser cangiato». Mescolando quelle parole, avvio il rebus della mia vita.