Ota Benga, terzo romanzo della decalogia americana di Antonio Monda

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Ota benga allo zoo del Bronx

Ota Benga, ultima fatica letteraria di Antonio Monda, è romanzo che si comincia a prendere seriamente già dalla manchette gialla sulla quale il New York Times, come fosse il coro tragico nella città di Tebe, entra in scena recitando che colui che ci apprestiamo a leggere è “custode delle glorie di New York”. Infatti lo storico quotidiano, come voce corale della coscienza ma anche della hybris della città, è esso stesso uno dei protagonisti di questo terzo “round” dei dieci della grande sfida che Monda ha raccolto: scrivere una decalogia ambientata nel Novecento newyorkese.

ota bengaParlo di round a ragion veduta: il pugilato costituisce, infatti, il “calendario” di questa ampia narrazione scandita dalle stazioni dolorose quanto spettacolari, delle più grandi sfide pugilistiche, combattute negli Stati Uniti nel secolo breve, e magistralmente descritte da Monda. Epiche e terribili lotte che illuminano l’insolubile enigma, agli occhi dell’ethikos, del primordiale e intimo rapporto tra violenza e bellezza che attraversa fino ad ora tutta la poetica dello scrittore oltre a simbolizzare e ad officiare il rito della verità ancestrale del vivere come cruento ed eterno lottare, ma anche a ricordare il tributo alla grandezza della nazione americana dei  pariah che hanno raggiunto il paese della speranza e di cui non sapremmo nulla, degli aneu logou, dei senza parola, se non fossero i loro campioni ad emergere, rappresentando anche quelli che resteranno per sempre oscuri, grazie alla potenza e alla forza d’eccedere lo status quo sociale che ha la loro violenza, scatenata nello sport, che li strappa dal lete inenarrato dei loro purgatori di oscuri fuochisti sepolti vivi nella sala macchine della società.

Scontro dopo scontro, round dopo round, dolore dopo dolore, fino a farli arrivare nel Sancta Sanctorum del Madison Square Garden dove non solo possono irrompere meritandosi il diritto a conquistare finalmente un nome proprio nella storia dei padroni dell’universo ma addirittura diventando divinizzate creature dalla fragilissima esistenza però, destinate alla polvere della futura sconfitta non appena dagli abissi sorgerà un nuovo e più affamato eroe a disintegrarne sul ring l’idolo venerato dalle masse.

Ring anche quello della scrittura in cui Monda si promette di resistere a questa ardua sfida, arrivando tutto intero fino alla fine di questa decalogia che lo impegnerà negli anni a venire e di dimostrare che la sua stoffa è quella di un combattente autentico che farà sudare l’avversario ingaggiandolo al limite delle forze, sebbene l’avversario, New York, sia per antonomasia imbattibile, giacché “è folle sfidare New York” poiché come ha sapientemente scritto Mailer, “c’è troppo talento che aspetta schierato nelle sue strade”. Ma è solo così, solo lanciando una sfida già persa ai pronostici che l’Eroe vive la sua dimensione epica, quella di colui che sfida il destino, cosa non concessa nemmeno al signore dell’Olimpo.

Libro che si continua a leggere seriamente anche nella dedica di Monda ai tre figli Caterina, Marilù e Ignazio, cosa questa che, in qualche modo, per lettori particolarmente attenti, coinvolge il biografico dell’autore e lo immette, forse del tutto inconsciamente, come materiale narrativo nel libro; già, perché questa dedica, che è promessa fatta dall’autore in nome dell’America ai propri figli italo-giamaico-americani, con ascendenze ebraiche e cinesi, è la redenzione della stessa identica promessa tradita che nel romanzo viene fatta a Ota Benga, la cui storia è narrata in questo libro, il pigmeo della tribù congolese Mbuti, catturato dai mercanti di schiavi arabi nelle foreste del Congo e comprato ad essi, con intenzioni di liberazione, da Verner, singolare missionario americano che lo porterà negli Stati Uniti nei primi anni del Novecento, e dove dovrà passare, tra le tante avventure, anche per l’umiliazione della esposizione nella gabbia delle scimmie nello zoo di New York, davanti a una folla di 30mila persone, come prova vivente della teoria del darwinismo, ritrovato anello mancante tra la scimmia e l’uomo, cosi come lo vedono gli occhi fanatici di uno pseudoscienziato, Madison Grant, anche egli realmente esistito e che scriverà di li a poco, un libro sulla “grande razza ariana” che sarà addirittura di ispirazione al Mein Kampf hitleriano.

Ota benga allo zoo del Bronx
Ota benga allo zoo del Bronx

Romanzo Storico dunque, Ota Benga racconta di uomini e donne realmente esisti nella New York dei primissimi anni del ‘900, sul quale si innesta la creazione letteraria di personaggi inventati ma che sono all’interno dell’opera i vertici della realtà artistica stessa, e dunque verissimi, esistenti.

Leopoldo II del Belgio
Leopoldo II del Belgio

Anche se il libro riapre de facto la questione dell’apocalittico genocidio congolese perpetrato dal re del Belgio Leopoldo II, in cui furono assassinati dieci milioni di congolesi sui circa 25 milioni viventi all’epoca, nel breve tempo di 23 anni del dominio personale della casa reale sul Congo, che poi passerà, proprio in conseguenza di ciò, dalla corona allo stato, ovvero oltre mille morti al giorno per oltre venti anni consecutivi, fatto atroce che questo romanzo recupera dall’oblio in cui l’occidente seppellisce i terribili crimini di cui è e resterà per sempre colpevole, e che già solo per questo innalza questo terzo romanzo newyorkese di Monda a libro assolutamente necessario, e anche se riattualizza la questione già magistralmente teorizzata nella “dialettica dell’illuminismo” da Adorno e Horkeimer, di una scienza ideologica già a partire dall’ipostatizzazione dei suoi scopi e dunque totalitaria, divenuta perciò crudele quanto e più di quella natura dal cui dominio aveva inteso liberare gli uomini e insieme da esso anche dalle oscure superstizioni che la paura aveva generato, una scienza, per dirla con le parole di Monda, che perde di umanità e di afflato, e che getta il mondo in una nuova barbarie tra cui appunto le criminali follie eugenetiche del nazismo; anche se il libro tocca il nervo vivo di tali capitali questioni, non è affatto in ciò che si estingue la sua focale e il suo orizzonte…