Siccome crediamo che il premio Strega sia davvero ciò che promette di essere, un prestigioso riconoscimento dell’eccellenza letteraria italiana, ci auguriamo che il carteggio tra Roberto Saviano ed Elena Ferrante sulla nomination di quest’ultima al premio resti, appunto, una boutade. Questa “scoperta” a scoppio ritardato della Ferrante – per noi che abbiamo amato L’amore molesto e I giorni dell’abbandono, e i film di Martone e Faenza che da questi libri sono scaturiti – perché, a quanto pare, gli americani si sono accorti di lei, l’ha spiegata bene Massimo Onofri: è una faccenda di grande provincialismo. E incoronare la Ferrante proprio ora che si è dedicata a un linguaggio da feuilletton è un paradosso ulteriore in questa vicenda di baronia culturale italiana.
Lo Strega è un premio che va protetto dalla degenerazione ipermediatica e dalla lottizzazione intellettuale. Immaginarlo aperto a vere contaminazioni e a linguaggi che raccontino la nostra nazione è una ambizione di cui non ci vogliamo privare. Per cui, se Saviano scrive alla Ferrante per via “americana”, noi scriviamo alla letteratura italiana per via “patriottica”. E allora, se tra i papabili alla finale c’è già un grande libro come Le ferocia (Einaudi) di Nicola Lagioia, un ritratto eccezionale della borghesia meridionale e, per noi che siamo un paese di terroni, della borghesia tutta, qualche suggestione non vogliamo lasciarcela sfuggire. E dunque, attendendo per Baldini&Castoldi il romanzo di Fabio Viola sulla televisione italiana, ecco altri due titoli: Cade la terra (Giunti) di Camern Pellegrino, che racconta in modo sublime la realtà fantasmatica di un piccolo paese del Sud, e Giordano (Fazi) di Andrea Caterini, storia vera, favolosa e terribile di un padre separato che si ritrova a fare il garagista. La buona salute degli outsider.