Il Premio Strega e la retorica dei “piccoli editori” (tanto vincono sempre gli stessi)

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il_340x270.645212528_ccqcIl Premio Strega è ormai diventato un premio stregato: per avere la fedina estetica pulita è meglio non vincerlo. D’altra parte, chi lo ha vinto? Autori celebrati nelle antologie scolastiche (Cesare Pavese, Primo Levi, Alberto Moravia, Elsa Morante, che poi lo vinse per cortesia coniugale, essendo la moglie di Moravia), di cui gli studenti, giustamente, non ne possono più; autori canonici (Giorgio Bassani, Dino Buzzati, Paolo Volponi, Massimo Bontempelli) che ci siamo dimenticati di leggere come si deve.
Di solito, gli scrittori di genio vincono il premio per caso, come capitò a Tommaso Landolfi, che esattamente quarant’anni fa si portò a casa la bottiglia di Strega con uno dei suoi libri più brutti, A caso. Casualmente, pare, Ennio Flaiano fu il primo a vincere lo Strega, con il suo romanzo più bello, Tempo di uccidere; mentre il capolavoro assoluto (l’eccezione che conferma la regola) è Il Natale del 1833 di Mario Pomilio (lo Strega del 1983), che proprio per questo è fuori catalogo, rassegnatevi. Rassegnatevi, allo Strega vincono sempre gli stessi: solo gli editori-transatlantico ottengono lo Strega, o sei del club Mondadori (23 vittorie), Einaudi (12), Rizzoli (10), Bompiani (9) o sei escluso, patetico plebeo. Che poi l’appello di Umberto Eco, l’Humbert Humbert della letteratura italiana, sempre in cerca della verginità letteraria preclusa, è l’eco della sua vanità: urla allo scandalo a proposito dell’editore monstre Mondadori-Rcs perché altrimenti che senso hanno i premi, ma se il Gruppo Mondadori conta 44 Strega su 67 edizioni mi pare che un senso non ce l’abbia già. Detto questo, lo Strega, lo dice Tullio De Mauro, il Re Sole del Premio, fa eco a Eco e cambia il regolamento: da questa edizione esiste la “quota piccoli”, almeno un piccolo o medio editore sarà in cinquina.

Come si fa con gli ebrei che gli si perdona tutto per il senso di colpa riguardo all’Olocausto; come si fa con i gay, i quali, poveretti, sono discriminati, aiutiamoli. Un modo come un altro per mettere nel ghetto i “piccoli” editori, come se l’essere “piccoli” fosse un marchio d’infamia. Al contrario, in un Paese civile dovrebbero contare soltanto il contenuto, non la griffe; dovrebbe valere il romanzo, non chi lo stampa. In un Paese civile conta la bellezza del contenuto, non la grandezza del contenitore (anche perché, di per sé, un piccolo editore non è garanzia di niente, può stampare libri più brutti di quelli che stampa Feltrinelli).

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Piperno si scola lo Strega

E poi, cosa vuol dire “piccolo o medio editore”? Marsilio è un medio editore (che orrore questo discorso dimensionale, è come se ti misurassero l’aggeggio di famiglia), Archinto un piccolo editore. Ma entrambi fanno parte del Gruppo Rcs. Ponte alle Grazie, Salani, Vallardi e Corbaccio sono medi editori. Ma fanno tutti parte del Gruppo Mauro Spagnol, tra i più potenti, editorialmente parlando, del Paese. Apogeo, Gribaudo e Kowalski sono piccoli editori. Certo, ma fan parte del Gruppo Feltrinelli. Non è che la tiritera buonista dello Strega sia il solito modo subdolo per premiare sempre i soliti Gruppi? Vabbè, però gli editori piccoli&puri esistono ancora. Pensiamo a Marcos y Marcos. Bella pensata. Editore dal catalogo bellissimo, ma il suo fondatore, Marco Zapparoli, è Presidente dell’Associazione Italiana Editori Lombardia, insomma, è uno ben intruppato nel sistemino. Se è per questo anche Polillo è una media casa editrice, ma Marco Polillo, già direttore editoriale Mondadori e Rizzoli, è l’attuale zar dell’Associazione Italiana Editore. Insomma, sbandierando De Andrè, si credono assolti ma sono tutti coinvolti. Scommettiamo che i veri piccoli editori (Ladolfi, La Vita Felice, Via del Vento, Guaraldi, Raffaelli, il Girasole, il Bradipo…) allo Strega non ci arriveranno mai? I 400 della Domenica hanno ben altro da leggere, e i “piccoli” hanno ben altro da fare. Sfornare libri straordinari, in una condizione sostanziale di samizdat, perché questo non è un Paese di libero pensiero né di libero mercato. Lo Strega lasci stare i “piccoli” (la “bibliodiversità” è brandita con la stessa ipocrisia dell’ecologismo di ritorno), stanno bene da soli. Semmai, il sistema conceda una competizione vera dei contenuti, non il solito parapiglia tra i soliti quattro al tavolo del re.