Bentornato Gramsci, ovvero: il Mibact e la cultura dei fini elettorali. Un Bando sbandato

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franceschini

Sotto l’impero di Gramsci. Avendo fatto gli studi, tutti ricordano come la pensava il divo Antonio riguardo all’egemonia culturale. La cultura è uno spin off della politica, una falange armata per ottenere consenso. Bentornato Gramsci: lo Stato italiano è ancora dominato da lui. Il Bando per il titolo: Capitale Italiana della Cultura 2016 e 2017 (quest’anno il contentito l’han dato a tutte le città trombate dal titolo di Capitale europea per il 2019), varato dai pensatori del Mibact, è una specie di bigino gramsciano. La cultura, infatti, è necessaria «per la coesione sociale, l’integrazione senza conflitti, la conservazione delle identità», cioè tutte cose che con la cultura non hanno a che fare, questa è sociologia in una scatola di Tic Tac. Ovviamente, la cultura statalista è beata tra parole alate come «innovazione» e «crescita», che van bene a tutte le latitudini dell’idiozia, va da sé che riguardi «lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo». Tutte palle. Studiare giorno e notte Platone e rifocillarsi alla fonte di Rilke non fa guadagnare un bel nulla, non innova niente, non fa stare meglio. Ma sono atti assolutamente necessari per chi voglia vivere e non tirare a campare con il Suv nella piscina olimpionica della villa di famiglia.

Antonio Gramsci, un mito
Antonio Gramsci, un mito

Tutte le città possono partecipare al bando, basta fare in fretta (entro il 31 marzo), e fare il compitino, cioè rispondere a tre domande riguardanti «motivazioni» (massimo duemila battute; ci vorrà il personal trainer della cultura?), «idea progettuale» (duemila battute), coerenza «con gli obiettivi del Bando» (mille battute). Tali obiettivi sono quanto di più astratto si possa immaginare (con parole come «progettazione integrata» e «pianificazione strategica» ci facciam tante nuvolette di panna montata), gonfi di banalità elettorali (la solita solfa dello «sviluppo culturale quale paradigma del proprio progresso economico»). Il bando ha a cuore i dindi, cioè «l’accoglienza ai turisti», a decretare la città vincitrice una giuria «composta da sette esperti [numero mistico, ndr] indipendenti di chiara fama nel settore della cultura, delle arti, della valorizzazione territoriale e turistica». I quali «non devono aver avuto rapporti di collaborazione di alcun genere […] con le città che hanno presentato domanda di candidatura». Consueto ghirigoro buonista all’italiana: immaginando che vi partecipino un lotto di città, come fa un esperto a essere “di chiara fama” se è restato nel misero antro del suo studiolo?

Il Ministero, pensando di avere a che fare con dei cretini, offre pure indicazioni tecniche di compilazione («carattere Times New Roman 12, interlinea 1,5», però «è autorizzato l’uso di corsivo, grassetti, caratteri sottolineati/evidenziati/colorati», che bello), perché la cultura non è sostanza, ma pura formalità. Comunque, state sereni, non ci si arricchisce. Il bando prevede per la città onorato da cotanta coccarda «non oltre 1 milione di euro». E poi, tagli alla cultura per tutti.