Il Pino Daniele che nessuno vi racconta

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Niente chitarrone acustiche, invece la Gibson Les Paul custom altrimenti detta “black beauty”. Niente accordoni, ma fraseggi svelti jazz e blues speziati di seconde minori e modo lidio: arabismi e napoletanàte. E ritmo, groove, “tiro”.
Niente letterarietà, pesca a mani piene nella tradizione, invece. Pino Daniele raccontava storie di travestiti con voglia di vita familiare (Chill’è ‘nu buono guaglione), descriveva spiriti della casa pronti a “fottere e scannare” (Bella ‘mbriana), potenti incazzature (Il mare; Mo’ Basta; Tarumbò; ‘Na tazzulella e cafè). Abitava una malinconia del Sud in cui rimane addosso l’odore della cena e quello del mare (Putesse essere allero). Ammanniva nonsense a filastrocca nei quali, alla fin fine (al contrario di quel che diceva Nanni Moretti), le parole NON sono importanti, è importante il suono delle frasi. 

Il primo Pino Daniele (diciamo fino al doppio live Sciò, della metà degli anni 80) è stato il più Off dei cantautori italiani, quello meno immediatamente riconoscibile come “cantautore”, “poeta” o, Dio ci scampi, “pensatore”. Troppo sanguigno, troppo musicista, troppo poco intellettuale.

Ora, quasi tutti i cantautori italiani cercano la musica popolare. Ma per quasi tutti si tratta del punto di arrivo di un’operazione di pensiero. I La minore di Fabrizio De Andrè passano attraverso filologie medievali, spleen, Spoon River e anarchismi. Francesco Guccini è countryeggiante sì, ma ancor prima scrittore. De Gregori è uomo di pensiero complesso (e accordi semplici). Aggiungiamo un Giorgio Gaber per il quale scrivere La Balilla o Porta Romana è stato dichiaratamente frutto di una ricerca stilistica, ideologica, culturale. Tutti post-romantici, meravigliosi e “sentimentali” nel senso di Schiller: tendono a una spontaneità che non riusciranno mai a raggiungere.

Invece la forza del primo Pino Daniele è stata l’ingenuità. Ragazzo di quartiere, smovìcolo, grintoso, bella faccia e bel sorriso, dopo gli esordi sulla scena musicale etno-progressive napoletana registrò il primo disco (Terra Mia). Ma non successe niente. Allora si presentò al guru del neapolitan sound e anima dei Napoli Centrale, il geniale, incazzosissimo James Senese. Senese gli disse “prendi questo basso e suona con noi”. Dopo un anno, Daniele tornò alle sue canzoni, ma avendo assorbito il suono dei Napoli Centrale. Blues, funk, jazz. Dal secondo disco in poi (Pino Daniele, 1979) aveva trovato la sua voce.

La sintesi era stata una faccenda tutta musicale, di sound, prima che intellettuale, o “poetica”. Rumoroso, antiletterario, formulare, magistico, funk, il primo Pino Daniele aveva bisogno della sua band (tutti mammasantissima come Senese, appunto al sax, e poi Joe Amoruso alle tastiere, Rino Zurzolo al basso, Tullio De Piscopo alla batteria, Tony Esposito alle percussioni, tornati nei recenti concerti-nostalgia) per animare il suo anti-cantautorato. Internazionale e  regionalissimo.

Seguirono gli anni dei successo clamoroso, dei palazzetti strapieni in tutt’Italia, delle collaborazioni eccellenti con i jazzisti, da Chick Corea in poi, delle colonne sonore con Massimo Troisi. E, dai ’90 in poi lo status acclarato di grande melodista pop. Che può piacere ad alcuni o sembrare annacquato ad altri (chi scrive ha smesso di seguirlo senza nostalgie) ma si riconosce comunque in mezzo secondo. E sotto sotto, infine, il vero Pino Daniele sta tutto lì. Nella sua prima maniera da anti-cantautore. 

13 Commenti

  1. Io proprio non capisco la voglia di litigare che hanno parecchi…i cantautori citai sono grandissimi, possono non piacere, ma sono stati poeti e spesso anche grandi musicisti. In quanto a Pino..bella forza, era NAPOLI ! Non so se mi spiego….Vesuvio e storia, carne e sangue, paradiso e inferno.
    Il tempo ne misurerà ancor di più la grandezza. Mi manca tanto.

  2. Di certo vado contro corrente , ma voglio dire che con gli “applausi” a questo – comunque – bravo cantautore si sta eccedendo… forse per bisogno di aggregazione o forse per semplice napoletanità. Se si cerca di farlo diventare un mito e un punto di riferimento – anche se solo per la sua musica – si dimostra quanta scarsità di “veri” miti e punti di riferimento ci siano oggi in giro. Questa è una società a cui manca “qualcosa” e che la cerca affannosamente in personaggi da palcoscenico o da stadio. Una bella canzone e un bel gol e sembra che tutto sia tornato al posto giusto.

  3. Pino Daniele e` un`altra montatura tutta italiana. Non c`e` una canzone nel suo repertorio che puo` definirsi decente e puo` essere fischiata.La sua cosi detta musica, non napoletana, e` un ” pastiche” di note gettate li` con la pala, note che non hanno ne` capo e ne` coda. Non riescono a definire neanche una semplice melodia. Purtroppo la musica giovane italiana, che ormai giovane non e` piu, ha preso una brutta strada e senza ritorno. I nostri interpreti, vista la loro incredibile pochezza, supportatata da un pubblico di pecoroni, sono anche diventati intelletuali; poeti, scrittori, rettori di universita` etc. Questo articolo e` talmente patetico, da offendere chi ancora ricorda la musica di una volta. Il bisogno forsennato di essere alla pari dei britannici e degli americani ha distrutto la nostra vera vena musicale, quella aprrezzatissima e seguita all`estero fino agli inizi degli anni settanta. Viva Modugno, Peppino di Capri, Tony Renis, Renato Carosone, e molti altri.

  4. Suvvia!Non vi pare di esagerare troppo?Pino,qui in Italia,era quasi uno sconosciuto,se non fosse per un paio di canzoni!Lucio Dalla,che,sicuramente,era molto più conosciuto ed amato,quando è morto,non ha avuto tutte queste esagerate attenzioni!Cosa vuol dire?Lino.

  5. Divertente. E’ l’apoteosi del momento di gloria di un artista defunto, prima di dimenticarlo lo proclamiamo il migliore in assoluto. Avanti un altro.

  6. Carlo Rossetti, sono d’accordo con lei a definire, con rimpianto ormai, Pino Daniele “un musicista vero”, tuttavia per il proseguo del suo commento non posso esimermi dal definire lei “un autentico idiota” e le direi pure il perchè, ma dubito parecchio-assai-molto…..indovini cosa??

  7. Per Cortesia non paragoniamo Pino Daniele a quei melensi di De Andrè, De Gregori (pessimo musicista tra l’altro) Guccini (neppure è un musicista questo!) e Gaber che è innominabile.

    Daniele era un musicista vero, anche se i suoi accordi non erano complicatissimi, lo ammetto. Gli orrori che hanno ‘composto’ (virgolette d’obbligo qui) gli altri invece sono aborti e non si possono neppure chiamare musica.

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