Abbassare l’Iva per rilanciare l’Arte

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Ieri si è svolta la Giornata del Contemporaneo a cura di Amaci, l’associazione che raccoglie 26 musei di arte contemporanea italiani. Al di là del folto calendario per questa manifestazione simbolo, il settore dell’arte non gode di ottima salute. Tralasciando la grave crisi dei musei (a partire dal Maxxi, passando per il Macro e il Madre…) frutto di scelte sbagliate ma anche di una persistente mancanza di fondi pubblici, la cosa sconfortante è il panorama di un mercato che all’estero aumenta (+8%) e in qui da noi diminuisce (-17%); chiudono le gallerie, faticano gli operatori.

Manco a dirlo uno dei problemi è quello fiscale: l’Iva al 22% sulla vendita di opere d’arte, l’aliquota più alta in Europa (nella vicina Svizzera è all’8%), penalizza il venditore e il compratore. Sebbene ci siamo meccanismi di sconto (il cd regime del margine), le imposizioni restano alte; le norme poi sono di difficile comprensione e applicazione (il diritto di seguito e i relativi contenziosi con la Siae); più in generale c’è la sensazione di un ideologico accanimento contro chi compra arte: basti ricordare che nel “redditometro” le spese per investimenti in opere d’arte (considerate un lusso superfluo) sono divenute rilevanti ai fini di determinare la capacità contributiva dell’acquirente. Va detto che la nostra legge (per paradosso) è invece favorevole nei confronti chi possiede già opere d’arte non essendo prevista alcuna imposizione di carattere patrimoniale sulla proprietà da parte di privati, né tale proprietà genera un’imposizione sui redditi.
A fronte di questo, il ministro Dario Franceschini l’altro giorno ha ricordato una legge del 1982 per cui gli italiani possono pagare le tasse cedendo allo Stato opere d’arte. La cosa fa sorridere.