Cultura romana? Sono rimasti solo i calcinacci

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E’ ridicolo mettersi a fare “oh”, come i bambini di Povia, di fronte a ogni sassolino che cade. Inutile dar da pensare che non esistano precise responsabilità politiche. Lo dicono tutti, cinefili, teatranti, musicisti, esperti di arte. Il sistema della cultura romana si sta sgretolando. Non sono sassolini qua e là, è una pioggia di calcinacci.

Breve rassegna orientativa. Il caos all’Opera: Riccardo Muti se ne va soprattutto per mancanza di fiducia nei confronti del sindaco Ignazio Marino. Il Festival del Film, nato nel 2006 con le migliori intenzioni/ambizioni, ha a capo un Marco Müller sul piede di partenza. Pare sarà l’ultima edizione. Se va bene verrà accorpato al Roma Fiction Fest, se no: adieu. Macro: i dati di Federculture parlano chiaro. Allo scorso giugno aveva perso il 52% dei visitatori rispetto all’anno precedente, con tanti guai amministrativi e di poltrone, gli stessi che stanno passando o hanno passato Palaexpo e Sovraintendenza. La Casa del Jazz è in abbandono, non c’è direttore, non c’è programmazione. Ada Montellanico con l’Associazione nazionale dei Musicisti di Jazz sta cercando di mettere insieme una proposta organica per rilanciare l’istituzione. A proposito di jazz, il festival di Villa Celimontana quest’anno non c’è stato. E a proposito di iniziative estive. L’estate romana ha avuto un budget ridotto a un terzo di quello del 2010. Qui bisogna registrare che il massimo dei contributi del Comune alla cultura (108 milioni, 4,4 % del bilancio) ci fu nel 2010, sindaco il vituperato Gianni Alemanno, assessore Umberto Croppi.

Ora, è chiaro che gestire istituzioni e iniziative culturali in tempi di trasferimenti che si riducono (e così fanno gli sponsor: in genere più ci sono soldi pubblici, più arrivano anche quelli privati) è difficile. Ma la crisi andrebbe gestita attraverso delle politiche. In altri termini attraverso delle scelte. Invece la sensazione è Marino abbia deciso di non decidere e che molti nell’amministrazione non sappiano dove mettere le mani. E i risultati sono gli occhi di tutti. Calcinacci.

 

> Sull’addio di Muti all’Opera di Roma leggi anche l’analisi di Giuseppe Mele  e l’opinione di Angelo Crespi