La bellezza fuori da ogni cliché. Ovvero i B/N di D’Agostin

0

Renato D’agostin è nato nel 1983 vicino a Venezia e proprio in laguna nel 2001, giovanissimo, ha iniziato la carriera di fotografo. Poi ha girato il mondo, di qui e di là, su e giù, in un verso e nell’altro, raffinando una tecnica che gli permette di evitare – pur rappresentando paesaggi urbani – i cliché tipici delle cartoline da turista: sarà l’intelligenza dell’occhio, il bianco nero sgranato, fatto sta che le sue foto sono l’antitesi dei luoghi comuni di cui tracima il profluvio di immagini su istangram o pinterest. L’innata dromomania di D’Agostin ben si attaglia al titolo della sua ultima personale, Iter, che dopo essere stata esposta nelle gallerie di  New York, Milano, Parigi, Tokyo, Madrid e Istanbul, approda alla Leica Gallery di San Francisco ( fino al 31 gennaio)

Venti immagini, in pratica una summa del lavoro svolto negli ultimi anni, tentando di raccogliere lo scatto definitivo, quello meno usurato, che potesse immortalare (nel senso più vero del termine) un luogo, una prospettiva, fuori da tempo, perfino fuori dallo spazio che ci è consueto. Nascono così le sue città: un frammento decontestualizzato che però, magicamente, ridà il senso del tutto. Quasi fossero sineddochi le foto di D’Agostin sono “la parte del tutto”, un’inquadratura che è solo momentanea determinazione (o negazione) del restante universo, ma come nei frattali ogni più piccolo frammento porta con sé l’immagine dell’intero, dell’intero è significativa metafora. Se non fosse così, non si coglierebbe (come invece accade) da una nuca e dal profilo di un uccello, la città di Tokio; da una torre con la luna, Washington; da una siluette che cammina, Parigi; da una schiera di aquiloni, Shanghai.

È questo il pregio maggiore di Renato D’Agostin, fotografo in fuga, unico tra i giovani artisti italiani a essere presente nelle collezioni permanenti della Library of Congress e della Phillips Collection a Washington: la radicalità dello sguardo, perfino quando si misura con le immagini più kitsch, penso all’adorata Venezia che nel libro The beautifull cliché, D’Agostin è invece capace di restituire nella sua magnifica, eterna, desolazione.

washingtonDC