Se la processione diventa un reato

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Muore la cultura popolare. Distrutta dalla dabbenaggine. Dalla superficialità. Dall’ignorante arroganza. Muoiono secoli di sensazioni, brividi, attese, fiducia e speranza. Cessano gesti e suoni. Si spengono sguardi e voci.
Si soffocano i canti e non si accendono i ceri. Anche i fiori si sentono inutili, se non possono adornare le effigi dei santi.
Fine delle processioni. Fine della spontanea innocenza del popolo degli uomini nei confronti del Cielo.
Tomba per un’ Epoca della storia dell’Uomo.
Silenzi attoniti di domande senza risposta alcuna.

Colpa? Errore? Di chi? Non certo della Fede. Non dei credenti, che aspettano un anno per ringraziare o impetrare.
Pochi, i fintamente misteriosi responsabili. In realtà, li conosci, uno per uno. Sono quelli che pretendono di possedere anche Dio e la Sua Santa Scorta. Sono quelle facce da impunito che stanno lì a ricordarti che, inginocchiandoti, accetti Dio e subisci loro. Se lo vuoi e anche se non lo vuoi.
Sono quelli che si possono impossessare, in realtà, solamente della colpa di ritenersi eterni, ma non della cultura e della storia dell’umanità. E non è che, per punire, loro, si deve impedire al popolo di respirare. E il contatto con Dio e i Santi, anche nell’umile atto della processione, è respiro. Vitale, per queste contrade.

Qui, dove lo Stato spesso parte in vacanza, e, quando c’è, è in permesso straordinario. Qui, dove vivere è più duro che far nascere un fiore nel deserto. Qui, dove l’Uomo ha imparato che unico amico fidato è quel Fiato che scende dal Cielo e gli entra nelle carni, anche quando il più caro tra i familiari lo ha abbandonato.
Quando accadde che la Vergine si inchinò, prigioniera della stupidità umana e costretta dalla forza delle braccia non Sue, mi indignai. Chiesi ai vescovi una risposta chiara. Netta. Onesta.
Nunnari, Milito, risposero annullando le processioni. Sentenza forte, ma necessaria per riordinare le idee.

Mi sarei aspettato, in queste settimane, una altrettanto ferma decisione da certi comitati e da certe confraternite. Un passo indietro, nel rispetto della Fede e dei Fedeli.
“Abbiamo capito di aver perso e ci ritiriamo: Dio non si incatena!” Questo avrei voluto sentire. E, conseguentemente, avrei voluto che le processioni potessero tornare nelle strade dei paesi che stanno subendo un’estate già povera e mortificante sul piano del lavoro e delle necessità quotidiane. Ma che è diventata buia e senza speranza proprio per l’assenza di quel contatto esuberante e devoto con il Signore.

Ridono di noi i non cattolici. Ridono, cretini. Perché, dopo il Crocefisso e il presepe nelle scuole, vedono che non sappiamo difendere gli strumenti del nostro Credo. E, mentre loro se la ridono, noi cadiamo nel baratro.
La nostra Cultura popolare si sgretola, si sfarina. Nessuno la difende. Preferiscono, molti, difendere i boss che pretendono l’inchino. E accettano anche, passivamente, che i Santi non escano dal Tempio. Male!

E’ venuto, invece, il giorno di pretendere.
Pretendere che la Fede, la Tradizione, la Storia del nostro Popolo vengano rispettate.
Pretendere che la Cultura della processione abbia solido il presente, come solido fu il passato e solido sarà il futuro.
Pretendere che chi ride oggi, perda l’ebete smorfia domani.
Pretendere che ci si inchini solo davanti a Dio, all’Arte, alla Legge e alla Cultura.
Pretendere che sia reato ciò che reato è.
Ed ora, suoni la banda, esca il Santo, preghi il popolo di Dio. Parte la processione.