di Angelo Crespi
La risoluzione dei casi del Leoncavallo e del Valle a favore degli abusivi ci spinge a qualche sommessa considerazione di politica sociale. Innanzitutto, i fatti ridotti all’osso. Le occupazioni dei leoncavallini risalgono al 1975 in pieno delirio “rivoluzionario”. Oggi la giunta di Milano, sindaco di sinistra-sinistra Giuliano Pisapia, propone di acquistare il fabbricato di proprietà privata occupato e regalarlo direttamente ai reduci di quella stagione, in segno di pax sociale. L’occupazione del Teatro Valle risale a tre anni fa, e in questi stessi giorni la giunta di Roma, sindaco di sinistra Ignazio Marino, sta trattando per dar vita in futuro a una sorta di cogestione con i vallini stessi.
Pare di capire che nel nostro Paese la prepotenza ideologica e l’illegalità paghino. Ma questo si sapeva. Il percorso del Leoncavallo è noto, quello del Valle meno, fino a qualche giorno fa, quando gli occupanti sono stai ospitati dai loro protettori di Sel, in una grottesca conferenza stampa alla Camera dei Deputati. Gli stessi occupanti hanno nominato “Bene Comune” la fondazione con cui avanzare una proditoria richiesta di legittimità, e il comune di Roma ha avallato questo fraintendimento nel nome di un “teatro democraticamente partecipato”.
La questione nominalistica non è secondaria: dietro il mistificante titolo “Bene Comune” si nasconde un preciso pensiero che precipita direttamente dall’Illuminismo al Comunismo concentrazionario (e non scherziamo): cioè che qualcuno possa decidere qual è il bene comune e applicarlo, obbligando gli altri a subirlo. Più modestamente, il pensiero liberale tenta di accordare gli egoismi di tutti quanti, lasciando che i singoli (senza ledere nessuno) possano decidere in santa pace il proprio bene. Al contrario, le vie dell’inferno sono lastricate di “Bene Comune”.
03/08/14
Ho avuto un intensa discussione con uno dei sostenitori del valle che diceva appunto che bisogna riprendersi il luoghi pubblici abbandonati proprio perché sono nostri, tanto più se possono fare lavorare tanti teatranti.
Io gli ho risposto che sono un pittore, il mio teatro è il mio atelier che però mi tocca pagare l’affitto, perché io devo preoccuparmi di vendere i miei quadri per pagare il luogo in cui lavoro? E questa gente in nome di un ideologia fa quello che gli pare piantando la bandiera sulle proprietà pubbliche?
Il discorso è degenerato sul loro diritto a utilizzare bene i luoghi pubblici occupandoli e auto gestendosi, ovviamente non potevo non dire che se tutti ci comportassimo prendendo d’abuso il demanio dello stato, questo non basterebbe per tutti! Non ho avuto una risposta concreta e ho concluso la discussioni dando loro ragione: ok prendiamoci la cosa pubblica! Ora vengo al valle e pianto la mia bandiera su una settantina di metri quadri e vediamo se avete qualcosa in contrario! Invito altri liberi professionisti ad andare al Valle a prendersi dello spazio per la propria attività, tanto è di tutti! Ahahah!
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