Il reggae della Calabria

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Sulla costa Jonica, i Marvanza fanno politica ambientale sulle orme di Bob Marley

di Domenico Marcella

Come i Mods inglesi – focalizzati sull’ascolto della musica proposta dai deejay giamaicani poiché più adattabile al loro stile – anche i Marvanza hanno fregiato la loro produzione artistica nella fusione del loro background con quel reggae che si affermò grazie all’iconica figura di Bob Marley: considerato un guru della nonviolenza per i suoi proclami pacifisti. Seguaci fin da ragazzini della prima grande star del terzo mondo – se pur geograficamente lontani dall’isola della musica del mar dei Caraibi – la band del mar della costa jonica calabrese, formatasi nei primi anni del Duemila a Monasterace, ribadisce orgogliosa che «La conversione al genere musicale in questione è stata fortemente influenzata non soltanto dalla condizione ambientale – simile a quella della Giamaica – ma soprattutto da un non trascurabile aspetto: il raggae propone messaggi di fratellanza e di armonia spirituale, e noi – dalla Calabria – tentiamo di lanciare un ironico inno di dissenso contro tutto ciò che sporca, compromette e rallenta lo sviluppo socio-culturale».

Con quel nome estrapolato dal gergo tanto in voga tra i giovani calabresi, i Marvanza cantano per un mondo armonico e per una terra, la loro, dignitosamente libera: «I nostri brani sono quasi tutti in forma dialettale perché vogliamo rendere un accorato omaggio ai canti ancestrali delle nostre origini e – senza precipitare nel clamore della musica popolare –stiliamo un manifesto contaminato da sonorità vibranti che stuzzicano i drammi della cronaca contemporanea». Un armonico conflitto tra passato e presente, come la loro versione di “Malarazza” – uno stornello siciliano del 1857, scritto dal cantastorie Lionardo Vigo che destò scalpore al punto da subire una censura ecclesiastica – nel quale la raggae band della provincia reggina denuncia attraverso l’aggiunta di un contenuto speciale «Le silenziose e malsane dinamiche che spesso dominano e deturpano molte realtà italiane».

I Marvanza – mantenendo inalterata quella gran bella dose di sarcasmo che li ha sempre contraddistinti a partire dall’esordio – pensano a quel che avverrà nell’immediato futuro: «Per le nostre prime fatiche musicali (“Frontiere” e “Soluziescion”) ci siamo ispirati rispettivamente all’abbattimento dei limiti mentali che alimentano e irrobustiscono i pregiudizi, e alla necessità di mettere in atto espedienti concreti per far parte della soluzione e non del problema; stiamo lavorando alla nostra terza uscita entrando direttamente nel perimetro delle problematiche nazionali che toccano e riguardano la politica, la religione, e la crisi economica: il motivo dominante di un sud imprigionato nella sbarre della rassegnazione sociale. Stiamo anche considerando l’ipotesi di ridurre il dialetto e cantare in italiano, affinché il nostro messaggio possa coinvolgere e inglobare tutti».

Da cosa ha origine la loro foga energizzante? Dalla convinzione che il raggae in Calabria possa rinnovare le coscienze e bonificare le ambizioni. In fondo, come quel Robert Nesta Marley, detto Bob, anche i Marvanza spronano all’emancipazione dalla schiavitù mentale, ai canti di redenzione e agli inni di libertà.

 

22.07.2014