Lucio Corsi: un naif contro la disperazione degli anni Zero

0

Le api, primo singolo del cantautore toscano.

di Grazia Sambruna

C’era una volta un paesino che aveva un nome da fantasy già scritto senza bisogno di anelli di raccordo, Vetulonia. I suoi abitanti non avevano le c e uno di loro, nato diciannove anni prima di questo racconto, a bordo del suo sgangherato maggiolino giallo, scopriva la pioggia che cade inevitabilmente dai lampioni, lo sgradevole sapore del miele, e si annoiava davanti alle foto dei gatti, sperando che, un giorno o l’altro, si vendicassero di chi aveva preso la pessima abitudine di immortalarli senza posa. C’è questa volta che tale diciannovenne si chiama Lucio Corsi, esiste davvero, e Vetulonia, il borgo toscano in cui è cresciuto, l’ha scelta per il titolo del suo primo Ep, Vetulonia/Dakar. 

Lucio non corre, però. E non è nemmeno triste, al massimo scontroso, ma di solito al mattino. Non sopporta il dolore solo quando si tratta di punture d’api. Lo scopriamo immergendoci nel suo primo singolo, Le Api, appunto, che è semplicemente un racconto dove, rispetto alla disperazione degli anni Zero, lui si pone dall’altra parte, magari disteso su un prato e con una sigaretta stropicciata tra le labbra. Naif.

Naif come uno che, seduto nella carrozza di un treno, si affeziona ai lampadari delle case. Quindi naif come chiunque sia mai stato su un regionale veloce, ma non troppo. La via di mezzo, quella che permette di sbirciare attraverso le finestre dei palazzi, intravedere delle ombre, viaggiare. Inevitabilmente.

Le Api è una canzone che è un racconto, dicevamo, un racconto fatto di immagini veloci, impressioni. Corde vocali come ali di Icaro, portano in alto, ma poi tocca sperare che la cera regga. Altrimenti si rischia di fare la fine delle api quando gli tocchi il miele, non volano più. Ma che senso avrebbe, del resto, volare, se il cielo fosse davvero sempre in bianco e nero o, alla meglio, giallognolo, come vorrebbero le fotografie di chi li immortala per noia? Dalla ribellione dei gatti a quella del cielo, anche questo è un viaggio.

Però, per favore, non parlategli di tramonti. Perché di quelli ce n’è già uno al giorno e, un po’ come per tutta la bellezza del mondo, basta guardarli, guardarli davvero. Magari distesi su un prato, con una sigaretta stropicciata tra le labbra, senza filtri.

 

23.04.2014