Una piéce di Francesca De Angelis contro chi pretendeva di “curare” l’omosessualità.
di Laura Mancini
Ci sono tanti piccoli elementi importanti che nell’infanzia di un bambino contribuiscono a far accrescere il senso di speranza e ad aprirsi all’idea di sogno. Raccontare una fiaba piuttosto che parlare di Babbo Natale che porta regali su una slitta volante, sono solo alcuni esempi tipici di come, abitualmente, gli adulti stimolino la fantasia del piccolo fino a portarlo a credere all’impossibile.
Quando si cresce, certo, scoprire la differenza tra realtà e fantasia e rendersi conto che non tutti i sogni si possono avverare, può essere motivo di delusione e, nel corso della vita, di sofferenza; ma il desiderio di qualcosa e la sua realizzazione resta comunque una delle principali motivazioni e forze motrici per l’essere umano. È forse questa la ragione per cui un testo come quello ideato dalla penna delicata di Francesca De Angelis – già sceneggiatrice cinematografica e televisiva – per lo spettacolo teatrale intitolato “Sissy Boy. La conferenza del sig. S. B”., in scena in questi giorni al Teatro Lo Spazio di Roma (fino al 9 febbraio), riesce a toccare l’animo di qualsiasi spettatore.
Nello specifico, la rappresentazione è incentrata sulla storia di Sergio Bello che si ispira ai fatti riguardanti Kirk Andrew Murphy, figlio di una coppia californiana che negli anni ’70 rimase sedotta dagli spot del Sissy Boys Experiment della University of California: «Hai un figlio effeminato? Niente paura, lo faremo tornare uomo. Gratis», dicevano in tv. Il metodo era basato sul concetto di terapia ripartiva e lo psicologo George Rekers della National Association for Research and Therapy of Homosexuality, allora ventitreenne appena laureato, garantiva di poter “guarire” in massimo 22 mesi un bambino da quei comportamenti omosessuali considerati sintomi di un problema emotivo legato a bisogni insoddisfatti dall’infanzia, specialmente nella relazione con il genitore dello stesso sesso. La sceneggiatura di Francesca De Angelis trasporta, quindi, la narrazione in Italia tramite il riferimento a personaggi noti dei nostri anni ’70.
Ma al di là dello specifico tema scottante che viene affrontato, ovvero quello dell’omosessualità e della sua accettazione/negazione, l’abilità della regista Anna Cianca sta nel coinvolgere chiunque assista allo spettacolo, appellandosi alla terribile esperienza che ciascuno nel proprio piccolo può avere avuto di negazione dei sentimenti e delle passioni fino a rinunciare ad una parte importante ed irrealizzata della propria personalità.
L’interprete Galliano Mariani è spontaneo ed espressivo, non cade mai nel ridicolo né eccede nel dramma, rendendo così verosimile il suo Sergio, ora commuovendo lo spettatore, ora trasportandolo con leggerezza indietro nel tempo dei ricordi di un’infanzia di cui, pure, interpreta abilmente l’innocenza e l’ingenuità. Con voce ricca di sfumature riesce, da solo sul palco, ad evocare nell’immaginazione di chi ascolta, tutti quei personaggi ai quali si riferisce, assenti sulla scena.
Dal lavoro di squadra di autrice, regista ed interprete emerge una rappresentazione del sentimento umano in tutta la sua bellezza: grazie a questa armonia il monologo/conferenza diviene un evento artistico da rappresentare a teatro.
CHE BELLO! FINALMENTE UN GIORNALE CHE SDOGANA L’OMOSESSUALITA!!!! SIETE DAVVERO OFF!!! GRAZIE MILLE GIORNALE!!! CMQ BELLA LINEA EDITORIALE. VOGLIAMO PIU ARTICOLI COME QUESTO, QUELLO DI OSVALDO, QUELLO DEL BOYLESQUER!!! LA NOSTRA ASSOCIAZIONE VI LEGGE SEMPRE!!! SIETE GRANDI!
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