La band emiliana rivoluziona il blues e pubblica un cd prodotto all’estero.
di Antonio Lodetti
Il loro suono è magmatico e potente. Il collante ideologico è il blues ma portato ai giorni nostri («il blues non è più quello degli anni ’20 del Mississippi») e colorato con tutte le influenze possibili e immaginabili. Il loro è un art work considerato come «un saccheggio alla biblioteca di Babele».
Difficile definire la musica del Collettivo Ginsberg, difficile anche codificarne il messaggio perché l’insieme è un incredibile cocktail di citazioni e stili diversi. A tratti ricordano l’epilettico punk blues della Jon Spencer Blues Explosion ma loro non amano definirsi. «Ci sono troppe influenze nei nostri brani e ognuno è libero di sentirci dentro ciò che vuole – dice il cantante Cristian Fanti – siamo soprattutto una band libera, libera da vincoli contrattuali e quindi in grado di prendere a mani basse tutto quello che ci ispira per riproporlo in chiave moderna».
Il loro è un messaggio spontaneo, in cui è fondamentale l’improvvisazione, ma anche intellettuale. «Oggi siamo talmente bombardati dall’informazione – continua il cantante – che abbiamo in testa un megacollage da cui dobbiamo tirare fuori la verità. Dal blues rurale alla no wave abbiamo messo le mani nel terreno e strappato le radici a forza. Ma, come diceva William Burroughs, chi fa uso delle parole non le possiede più di quanto un pittore possieda i colori della sua tavolozza. Così noi siamo dei semplici veicolatori di messaggi». Se si fa notare che il loro messaggio è troppo intellettuale ribattono decisi: «Oggi si definiscono cantautori molte persone che non dicono niente. La musica oggi si basa tutta sulla forma e pochissimo sulla sostanza. Miles Davis divideva la musica in ‘enlightenment’ e ‘entertainment’; noi non vogliamo fare intrattenimento. Oppure trovare quel giusto equilibrio tra le due formule che per esempio ha trovato De André».
Decisi e con le idee chiare, dopo l’EP De la crudel hanno pubblicato il primo album, Ana Nisi Masa, per un’etichetta inglese nata apposta per loro. Sul mercato italiano, da veri OFF, non si fanno illusioni. «Il mondo della musica è una lotta coi mulini a vento. Il mercato non ci piace anche se avremmo voglia di farne parte. Ma non deroghiamo alle nostre regole. Anche il mercato indipendente, che dovrebbe favorire nuovi talenti, in realtà è un circuito come le major ma con meno soldi. Noi andremo avanti per la nostra strada».