Velasco Vitali: “L’arte è il punto d’incontro tra tutto e il nulla”

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Intervista esclusiva a Velasco Vitali: pittore, scultore e artista visionario racconta il suo percorso, il rapporto con Testori, la svolta astratta e l’amore per la Sicilia.

Artista poliedrico e fuori dagli schemi, Velasco Vitali si racconta in un’intervista intensa e ricca di riflessioni. Pittore, scultore e artista visionario racconta il suo percorso, il rapporto con Testori, la svolta astratta e l’amore per la Sicilia. Figlio d’arte ma capace di un percorso profondamente autonomo, attraversa pittura, scultura, fotografia e installazioni pubbliche con una coerenza poetica che sfida le classificazioni. Dalle atmosfere del lago di Como ai cani di ferro e catrame, fino alle città fantasma e ai paesaggi cancellati, Vitali indaga le contraddizioni del nostro tempo con uno sguardo visionario e civile. Un incontro tra natura, memoria e linguaggio visivo, dove l’arte diventa spazio critico e possibilità di riscrittura del reale.

Essere il figlio di Giancarlo Vitali, indimenticabile pittore figurativo, è stato un peso o un’opportunità per te, perché?

L’opportunità è cresciuta negli anni, la difficoltà invece s’è presentata fin da subito, l’asticella era sempre troppo alta.

Sei nato, vivi e lavori a Bellano sul lago di Como, quanto incide il paesaggio, il contatto con la natura e la distanza dal “brulichio della vita moderna” nella tua ricerca artistica?

Il contatto con la natura è andato di pari passo col mio lavoro, ora più che in passato, è fondamentale per riflettere e anche per guardare le cose con distacco e distanza.

Sei cresciuto tra paesaggi lacustri, colori e pennelli, quando ti sei accorto di essere un bravo pittore, tanto da cominciare ad esporre regolarmente in mostre collettive e personali?

Siamo davvero certi di saper riconoscere la nostra ‘’bravura’’? Se s’avvertissero dei segnali a riguardo allora è meglio disimparare ad essere bravi. Poi, le mostre: sono concretamente un test linguistico, come per uno scrittore un libro, richiedono grande concentrazione .

Lo scrittore Andrea Vitali, nato a Bellano, abita sulla sponda orientale del lago di Como dove vive e svolge attività di medico, lo frequenti ? Siete amici?

Si certo , il terreno comune è il paese, abbiamo condiviso anche qualche progetto editoriale, fra tutti mi piace ricordare DILAGHEE un libro edito nel 1993 che indaga ironicamente le virtù del vivere sul lago.

Com’era il tuo rapporto con Gianni Testori, tuo mentore e scopritore?

Di ascolto. Ho continuato a cercare Testori soprattutto nel suo teatro, un uomo generoso, prosa grandiosa e ricca , pieno di lampi e di depistaggi.

Vittorio Sgarbi ha curato una tua prima mostra personale “Velasco –Opere 1985-1986”, segue nel 1987 , “Velasco”, l’ altra importante esposizione a cura di Marco Vallora, da allora il tuo segno, poetica e ricerca artistica come è cambiata?

Ho sempre avuto la sensazione che un progetto fosse la conseguenza e la crescita logica del precedete. Questo vale anche per i primissimi. La fortuna d’incontrare e avere un rapporto di scambio con menti fervide come quelle di Sgarbi, Vallora, Testori, Tassi fu una straordinaria occasione di sviluppo della conoscenza e un imprinting formativo di assoluto privilegio.

Di recente hai svoltato dalla figurazione a una quasi astrazione, come sei arrivato alla recente produzione di Terra Rossa, esposta nella galleria di Antonia Jannone a Milano?

La pittura si basa principalmente su questioni di colore e composizione, senza distinguere tra astrazione e figurazione. Questo progetto arriva come risposta che mi sono dato a una domanda lasciata aperta all’inizio del Novecento da Kazimir Malevic con il suo Quadrato Rosso, una questione tutt’ora di grande attualità che si traduce in una riflessione sul senso della pittura e sul suo significato.

Perché ti piace la Sicilia, in particolare Palermo e le sue affascinati contraddizioni ricorrenti nelle tue vedute visionarie del sud Italia?

Da subito mi è sembrato il luogo giusto per mettere distanza fra le cose e rivedere le mie certezze. Rischio di cadere nell’ovvio, ma per me è un orizzonte di luce .

Che importanza ha la fotografia nella tua ricerca artistica, è una traccia di paesaggi o lavori sulla memoria, l’essenza del luogo?

È un rapporto a filo doppio, sono sempre stato legato alla natura primaria della fotografia, quella della documentazione storica o del reportage giornalistico.

In Sicilia avviene l’incontro con la scultura, come nascono i tuoi inquietanti cani (dal 2003) e quali messaggi includono queste strane creature ?

Diffidare dagli artisti che lanciano messaggi! L’idea del branco nasce da qualcosa che ha a che fare con la natura dell’uomo, inteso come animale sociale, spinto dal desiderio primigenio di sopravvivere alla fame e con la ferma necessità di condividere un territorio e stabilirne delle regole sociali. E’ il fondamento della città , della nazione, dell’ospitalità e dello scambio, alla base di tutto questo ci sono le differenza linguistiche, il rispetto dell’altro, chiunque esso sia, il nomadismo, i rapporti di potere ( con i capibranco), il multilinguismo e il razzismo, il rapporto tra il bene e il male .

Perché i tuoi cani sono realizzati in ferro, catrame, cemento, piombo e rete metallica; materiali dell’abusivismo edilizio?

La natura dei materiali definisce con precisione il loro linguaggio, il carattere abusivo s’identifica col precariato, sono come le case costruite in quattro e quattr’otto per dare ospitalità a chi è senza tetto, e se la costruisci in poco ore ti servono solo quattro cose: ferro, rete metallica, cemento e catrame o piombo per isolare il tetto. Le mie sculture dei cani rappresentano quello: il desiderio primario di essere città, comunità, sono spinti , anzi la mia idea è spinta da un condizione anarchica sana , quella che rispetta solo le leggi di natura .

Che rapporto hai avuto con il filosofo Giulio Giorello, prematuramente scomparso nel 2020, autore del saggio critico pubblicato nella tua monografia dedicata ai primi vent’anni del tuo lavoro ( 2006) e in sintesi come ha interpretato la tua poetica?

Magnifico: fu anche il mio mentore alla Biennale delle arti visive di Venezia del 2011 e con una tesi inappellabile mi convinse a partecipare. Diceva che le mie composizioni sono degli aggregati di frammenti scomposti, come barlumi che provengono da una stella ormai distrutta… in questa sintetica tesi c’è tutto l’ingrediente del mio lavoro.

Sei definito l’anti Maurizio Cattelan, ti garba ?

Nella contemporaneità c’è un vizio usurato che spinge a considerare gli artisti come degli antagonisti tra loro, anziché pensare che siano solo degli interpreti. I due grandi numi tutelari dell’arte del Novecento sono Picasso e Duchamp: non si tratta di due partiti politici, il loro lavoro non li mette in opposizione tra loro, definisce soltanto due diversi modi d’interpretare la vita e l’arte, ma l’intento e lo scopo è simile . David Hockney non è l’anti Ai Weiwei, nemmeno Burri lo si può definire l’anti Boetti o Vedova l’anti Agnetti , insomma si tratta sempre di strade che conducono al punto più emotivo del cervello. Speriamo di essere su quella giusta .

Hai mai incontrato o cercato per un confronto Maurizio Cattelan, ma faresti una mostra con lui ed eventualmente cosa esporresti?

No, non l’ho mai cercato e non ho mai condiviso un progetto. Se capitasse, comunque sarebbe una buona opportunità per provare a mettere in gioco ironia, cinismo e pittura con un frullato d’ingredienti molto diversi tra loro .

Dalla scultura all’Arte pubblica il passo è stato breve, quali sono state le mostre nelle piazze italiane o altri luoghi pubblici più importanti per te?

Ogni intervento pubblico muove qualcosa di nuovo e imprevedibile. Lo spazio pubblico per quello che rappresenta rimodella e restituisce all’opera sempre nuovi significati e viceversa, che si tratti dell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo o della piazza della stazione Centrale di Milano, del mausoleo di D’Annunzio al Vittoriale o della piazza di Cornaredo; tra il tetto del castello Ruffo di Scilla e Venaria Reale a Torino non faccio differenza, per me quello che conta in ogni luogo è quella traccia di storia che si respira e come può essere rimessa in gioco.

Che significato dai alla mostra “Foresta Rossa”, un intervento artistico site-specific nel giardino botanico d’impatto onirico presso Isola Madre sul lago Maggiore, se fosse possibile dove rifaresti quest’opera ambientale?

L’isola Madre possiede una caratteristica unica, è un Eden addomesticato di natura vegetale e animale, dove, tranne un custode , non vi abita nessuno per visitarla si paga l’ingresso e per accedervi ci si arriva solo via acqua. E’ l’epitome della città fantasma dove vi sono condensate tutte le caratteristiche per essere museo e luogo abitativo. E’ un miraggio di bellezza dove è concesso abitare solo agli animali, un luogo così perfetto che contraddice la possibilità di viverlo.

La riflessione sulle città moderne postcontemporanee culmina nelle tue periferie, ricorrenti nel tuo lavoro, cosa intendi per Paesaggio cancellato?

Paesaggio cancellato fu un titolo dato a un progetto del 1987 che si riferiva alla tragedia alluvionale che colpi la Valtellina in quell’anno, fu anche forse il primo caso di attenzione pubblica a largo raggio sull’emergenza climatica. Per il mio lavoro segnò un punto di svolta che condusse a una ricerca più ampia sui luoghi, dalle città del mediterraneo al progetto Foresta Rossa sulle città fantasma nel mondo. L’utopia della metropoli e le questioni legate alla sopravvivenza e ai transiti sono alla base di tutti questi progetti che coinvolgono anche l’opera Il Branco .

Nel 2015 alla Berlinale partecipi come produttore e protagonista del documentario Il Gesto delle Mani con la regia di Francesco Clerici che ti immortala mentre realizzi una scultura in bronzo nella storica Fonderia Battaglia di Milano, il film vince il premio della critica internazionale FIPRESCI, dove si può vedere?

Esiste, lo si può vedere su Vimeo. Quel film è per me uno dei tanti epigoni di questo complesso progetto sul Il Branco e le città e sulla capacità che le idee hanno di prendere forza se condivise. Ci tengo a dire che ogni scultura di cane porta il nome di una città fantasma. Tra il 2010 e il 2012, proprio con Francesco Clerici iniziammo uno studio e una ricerca che ne scovò 450 circa in giro per il mondo. Erano e sono la testimonianza visiva delle nostra follia, ma soprattutto l’anello compiuto di civiltà che nascono, muoiono e si rinnovano.

Ricapitolando, da pittore autodidatta diventi scultore, grafico, illustratore abilissimo nella realizzazione di copertine di libri e pagine del Corriere della Sera , con cui collabori dal 2007, curatore di mostre, tra le altre ricordiamo quella dedicata a tuo padre a Palazzo Reale nel 2017, tra poco ti cimenterai con ologrammi, avatar e intelligenza artificiale ?

Perché no, purché’ abbia la sensazione di avere una matita in mano e di poter lavorare manualmente su un’immagine .

Costa di più un tuo dipinto o un cane, chi sono i tuoi collezionisti e chi tratta la vendita delle tue opere?

Questa è una domanda di taglio commerciale alla quale si può rispondere a singhiozzo, ma il grande valore e il grande merito della durata e della custodia dell’opera è da attribuire ai collezionisti, ognuno di estrazione diversa, che negli anni hanno sostenuto e continuano a credere nel mio lavoro e nei miei progetti, senza escludere i galleristi che tutt’ora a fasi alterne si fanno carico di rappresentarlo.

Nel 1999 hai esposto alla XIII Quadriennale –Proiezioni 2000, Palazzo delle Esposizioni, Roma, nel corso degli anni hai tenuto mostre personali nei più importanti musei nazionali, poi nel 2011 Vittorio Sgarbi ti porta nel Padiglione Italia nella 54esima Biennale di Venezia, poi basta biennali e quadriennali, perché?

Semplice: Biennali e Quadriennali sono mostre istituzionali, quindi fuori dal mio potere decisionale.

Quali giovani critici seguono il tuo lavoro?

Un gruppo di giovani curatori ai quali l’hanno scorso ho affidato un progetto piuttosto complesso: avevano carta bianca e ne è venuta fuori una gigantesca installazione intitolata LISTEN BETTER . Non so se qualcuno di questi ragazzi, in prevalenza donne, in futuro si occuperà ancora del mio lavoro, ma è stata un’ esperienza entusiasmante, posso dire d’aver lavorato con trenta giovani curatori alla loro prima concreta esperienza sul campo.

Cos’è l’arte per te?

Il punto d’incontro tra il tutto e il nulla.

Potendolo fare, data la tecnologia imperante, con quale grande maestro del colore del passato vorresti esporre e in quale museo?

Vorrei essere il ritrattista di Casa Reale, ma in assenza di reali va bene anche andare avanti così, senza velleità di accoppiamento con l’impossibile. Il Prado a Madrid è il più bel museo del mondo.

Cosa rispondi a un giovane che ti chiede come diventare artista?

Bravo!

A quale progetto stai lavorando?

A una colonna.

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