Debutta oggi nelle sale il primo film di Greta Scarano come regista. Si tratta di “Vita da grandi” una storia vera che parla di autismo ma non solo. I protagonisti sono interpretati da Matilda De Angelis e da Yuri Tucci, attore autistico, i quali sotto la guida di Greta ci portano con grazia e leggerezza a condividere una vita intrappolata dagli stereotipi che riesce a prendere il volo.
Greta, dove nasce l’idea di dirigere un film visto il tuo successo come attrice?
Ho sempre avuto questo desiderio fin da ragazzina solo che l’ho tenuto chiuso in un cassetto dai tempi del liceo. Ho iniziato a fare l’attrice è vero ma per me questo ruolo e quello di regista erano due lati della stessa medaglia, invece iniziando a dirigere il mio primo film mi sono resa conto che si tratta di mestieri molto distanti uno dall’altro. Dirigere Vita Da Grandi è stato complesso, come molte cose nella vita. È stato soprattutto un viaggio fatto di livelli e stadi diversi in cui però non mi sono mai sentita sola. Avevo una storia dentro al cuore e sono andata da persone che sentivo potessero aiutarmi a proteggerla e a raccontarla nel migliore dei modi.
Come sei entrata in contatto con i veri protagonisti del tuo film?
Dal loro provino su Italia’s Got Talent. dopo averli visti in tv scopro che hanno scritto anche un libro, che mi ha letteralmente folgorato, sulla storia della loro vita. Ciò che mi ha intrigato, dopo avere conosciuto tutta la famiglia, sono le loro dinamiche. Ho capito di volerne fare un film quando ho capito che io per prima avrei voluto vedere la loro storia sul grande schermo. Il tema principale è l’autismo ma il film va molto oltre questa patologia. Il film infatti parla di sentimenti e di relazioni in maniera molto profonda con una chiave estremamente leggera intesa come ironica e non superficiale. È stato un lavoro di squadra fra i protagonisti veri,Damiano e Margherita Tercon e quelli cinematografici,Yuri Tucci e Matilda De Angelis . Anche solo scrivere questo film ha comportato un processo molto lungo di elaborazione fatto con le altre due sceneggiatrici, Sofia Assirelli e Titta Madia e con la produzione di Matteo Rovere con Groenlandia. Ci abbiamo messo molto soprattutto a capire dove volevamo arrivare. Sapevamo solo che volevamo raccontare la storia di due fratelli che si scoprono a vicenda nei loro limiti e nelle loro potenzialità.
Sei soddisfatta del risultato?
Io ho puntato a collaboratori che ritenevo più bravi di me e che mi hanno aiutata costantemente a rimanere sulla strada giusta. Non nascondo che c’era la possibilità di deragliare. Devo molto a Margherita, che io considero in qualche modo la seconda mamma di questo film, e a Matteo, il secondo padre, che mi ha spinto in direzione di Yuri Tucci senza metterlo mai in discussione. Purtroppo a causa della burocrazia abbiamo rischiato di perdere la preziosa collaborazione di Yuri e la produzione mi ha aiutato a superare tutti gli ostacoli. Non da meno è stato il set dove abbiamo lavorato, mi è stato concesso quello che avevo desiderato, che ha contribuito a rendere questa esperienza la più bella che potessi mai fare in sei settimane a contatto con le persone che mi ero scelta: da Matilda De Angelis, la protagonista al mio aiuto regista Maurizio Bassi, tutti hanno dato il loro contributo non solo quello strettamente professionale, illuminandomi il cammino.
Quanto ha contato la tua esperienza di attrice nel girare questo film?
All’inizio non ero portata a fare movimenti di macchina bensì ad utilizzare un linguaggio un po’ più statico in cui potessi comunque dare agli attori la libertà di muoversi anche se, proprio per la mia esperienza di attrice, ho avuto molto piacere di trovare, ancor prima dei protagonisti, quali dovessero essere le loro azioni per potergli permettere di venire sul set e trovare delle situazioni, non fissate ma impostate, che dessero loro la libertà di interpretare senza pensare necessariamente se l’azione fosse necessaria a quella determinata battuta o meno.
Nella locandina emerge la garanzia che questo è “un film che vi renderà felici”. Da cosa nasce questa affermazione?
Per quanto riguarda me, e non solo, la ricerca della felicità si fonda tantissimo con il tema del diventare grandi nel senso che, diventando grandi, si rischia di smarrire i propri sogni, nel caso di Margherita e anche di Matilde il sogno è di fare l’attrice comica, ma era un sogno quasi inarrivabile e viene un po’ messo da parte per cercare di raggiungere l’obiettivo di una vita in qualche modo appagante e appagata in maniera diversa. Secondo me la felicità sta nel tenere il cassetto dei sogni aperto, come nel mio caso, dandosi la possibilità di tornare a sognare come si faceva da piccoli per poter spiccare il proprio volo.