A cent’anni dalla scomparsa di Eleonora Duse (Vigevano 1858 – Pittsburgh 1924) ) arriva al cinema Duse The Greatest. Non è un documentario tradizionale, né poteva essere diversamente poiché segna il debutto alla regia dietro la macchina da presa di Sonia Bergamasco, attrice di teatro, cinema e tv, regista, musicista (è diplomata in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi), scrittrice (Un corpo per tutti, Einaudi), poetessa (Il quaderno’, La nave di Teseo). Indagatrice a tutto tondo dell’universo femminile. Mossa dal suo amore per il teatro e dalla sua “splendida a ossessione” per la Duse (“io con lei ci parlo, per me è viva, ancora presente fra noi”) si messa sulle tracce de La Divina, con tutte “le mie energie amorose” senza però mai cedere alla tentazione agiografica. Per “restituire tutta la luce che ho ricevuto da le”.
Come nasce l’idea del documentario?
Il celebre verso del poeta Attilio Bertolucci descrive alla perfezione il mito della Duse : «assenza più acuta presenza». Il suo mito ha continuato ad agire. Affermare allora che la Duse non ha avuto il riconoscimento dovuto può sembrare un’assurdità. Pure, in un certo senso è così, perhé la Duse è stata non solo un’attrice unica, ma anche qualcosa di più di un’attrice. Una donna libera, inquieta, fragile e determinata. Uno spirito avventuroso, che vive il teatro come una ricerca continua, in territori inesplorati della psiche. Quando si pensa alla Duse, la gente pensa alla recitazione di un’attrice attaccata alle tende, e invece è tutto ciò che lei ha combattuto!
La sua relazione con D’Annunzio è l’unica cosa che la maggior parte delle persone conosce della Duse
Per carità, il loro è stato un legame molto importante, Erano due straordinari artisti, e per entrambi ha significato soprattutto il desiderio di fare un teatro nuovo – un teatro di poesia – e di creare testi nuovi. Volevo anche sganciare la Duse da questo sodalizio e farla vivere autonomamente. Duse esiste prima di lui e dopo di lui
Quando si è accostata per la prima volta al suo personaggio?
Molto presto. Ogni mattina vedova una gigantografia (che Giorgio Strehler aveva voluto) che campeggiava sulla parete della scala che mi portava alle aule della Scuola di Teatro del Piccolo di Milano. Non facevo altro che fissarlo. Guardare quella donna mi dava un’energia così potente, era come febbre. Un’ossessione. E dopo un po’ ho iniziato a chiedermi: “Ma chi è?” E da allora non ho mai smesso di interrogarmi su questa attrice. Di cercarla. Ho passato tantissimo tempo ‘insieme’ a Eleonora Duse: mi ha fatto riflettere molto sul mio mestiere, quello dell’attrice, che cos’è diventato, cosa resta della Duse nel modo in cui recitiamo, guardiamo, sogniamo. Ho addirittura sognato di trovarmi tra il pubblico, in una sala teatrale, ad assistere a un suo spettacolo
E’ stata chiamata “La Divina” da Gabriele D’Annunzio. Nel giugno 1892 le fa pervenire un esemplare delle sue Elegie romane con dedica “Alla divina Eleonora Duse”. The greatest dice Charlie Chaplin dopo averla ammirata a Los Angeles nella sua (ultima)tournée americana. E il pubblico la idolatrava. Come se lo spiega?
Perché era la più vera. Restituiva delle emozioni autentiche. Un ’emozione tanto forte a prescindere dalla storia che mostrava in scena. E da creare , in chi guardava, una vera scossa, non solo sentimentale, ma in primo luogo mentale. O forse si dovrebbe dire esistenziale. Una recitazione inventiva, mai prevedibile Al teatro richiedeva qualcosa di più che un mestiere .Il teatro, per lei, non era desiderio di successo, ma di elevazione spirituale. Una visione del teatro come superamento del puro intrattenimento.
Eleonora Duse ha cambiato per sempre il concetto di attore e di attrice, dice nel documentario. Come?
Veniva dalle generazioni che sul palco declamavano, assumevano pose statuarie, e ha rotto con quell’impostazione. Fin dagli inizi la sua presenza in scena esplode come una rivoluzione. Con l’energia dirompente del suo corpo di scena. Di forte impatto emotivo e visivo. Era il suo corpo a recitare. In contrasto con i trucchi pesanti del periodo, che facevano del volto dell’attore una maschera, si mostrava così com’era. Non ha mai truccato il volto o tinto i capelli in scena: Porta in scena grandi autori come Zola, Ibsen, , D’Annunzio, Shakespeare. Non seguiva copioni, li reinventava. Non cercava la perfezione, ma la verità.. D’un balzo, ha portato la nostra professione nel Novecento. La sua eredità resta immensa Lee Strasberg quando appena ventiduennte vide la Duse sul palcoscenico di Broadway, recitare senza trucco, ne rimase folgorato. non recitava, lei “era” e la sua presenza invadeva il teatro come un miracolo. E allora capisci che nacque da quella folgorazione il suo “method acting” che trasformò molti dei suoi allievi in vere stelle dell’universo hollywoodiano: Lauren Bacall, Anne Bancroft, Marlon Brando, James Dean, Marilyn Monroe, Paul Newman, Al Pacino, Shirley MacLaine, Robert De Niro, Steve McQueen, Susan Sarandon, Meryl Streep.
Accanto al talento attoriale, dal documentario emerge anche il ritratto di una Duse inedita: esperta donna manager.
Sì, proprio la Divina, carismatica e “magnetica” artista ancor fu anche eccellente imprenditrice nel mondo dello spettacolo in tutto il mondo. Da scritturata – per cui per contratto doveva sottostare alle scelte artistiche del capocomico-diventa impresaria e fondala “Compagnia drammatica della città di Roma”. Ha solo 28 anni. Giovane e osannata star sul palcoscenico è assieme capace di programmare i cartelloni delle stagioni teatrali, assumere attori e tecnici, definire il calendario degli spettacoli con impresari ed agenti teatrali di tutto il mondo.
Nel 1909, improvvisamente, all’età di cinquant’anni e senza annunciarlo pubblicamente la Duse si ritira dalle scene.
Nel decennio che segue farà molte cose: legge, scrive, viaggia, si occupa di questioni femminili, nel 1914 tenta l’apertura di una casa delle attrici a Roma: luogo di incontro, di letture, ma anche di residenza. E si avvicina al cinema anche per la richiesta del regista americano David Griffith che le propose di scritturarla per alcuni mesi a Los Angeles. Rimane però in Italia e nel 1916 accetta, dopo molte esitazioni, di misurarsi con la nuova arte del secol. Realizza il film muto C enere tratto dal romanzo di Grazia Deledda, on Febo Mari, co-protagonista e regista. Fu molto delusa da quel film, che pure aveva fortemente voluto. Riuscì a capire immediatamente che era un linguaggio diverso. E recitò in modo assolutamente nuovo, rivoluzionario per l’epoca: si sottrae alla macchina da presa , non cerca il suo sguardo, si nasconde coprendosi con il mantello nero. Forse aveva già capito tutto, forse sapeva che la macchina da presa era troppo invadente per la sua arte e per questo aveva scelto di evitarla. La differenza è tangibile, enorme, quando è nella stessa inquadratura con Febo Mari,, che è – pur essendo molto più giovane – un milione di anni luce dietro a lei, in quanto a modernità.
In cosa si è riconosciuta, come attrice, come donna, come artista?
Quando le chiesero “Qual è il luogo che ama di più?”, la Duse disse: “La traversata”. Mi emoziona e mi riconosco in quella febbre, il non riuscire a stare fermi. Solcare il mare è andare oltre, non accontentarsi. E’ il ritratto di una donna e di un’artista che si slancia sempre in avanti. Soltanto nel movimento incessante, nella ricerca continua possiamo fare al meglio il nostro mestiere. E, forse, fare al meglio il mestiere di vivere.