Mindfulness, vivere sotto una nuova luce ogni giorno

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Il suo ultimo libro si intitola I sentieri della meditazione. Mindfulness: cos’è, cosa non è e perché ha cambiato il mondo (Edizioni Piemme) e a ottobre verrà pubblicata per Giunti la sua prefazione all’antico testo sacro Il libro tibetano dei morti. Il suo primo saggio si intitolava Il pensiero tibetano (Giunti Editore), al quale sono seguiti Il libro della consapevolezza. Yoga, meditazione, mindfulness (Gribaudo – Feltrinelli) e La vita. La gioia di esistere per la collana Meditazioni Quotidiane, Corriere della Sera. Lei è Dejanira Bada, giornalista, saggista, scrittrice, istruttrice mindfulness e insegnante di yoga e meditazione e in quest’epoca fin troppo movimentata abbiamo pensato di fermarci un attimo per parlare con lei di… filosofia, forse…

Domanda da profano: che differenza c’è fra yoga e mindfulness?

La consapevolezza, e cioè la mindfulness, è una componente imprescindibile di ogni pratica di meditazione. Lo yoga di un tempo comprendeva la componente spirituale. Pare che lo yoga si praticasse come mezzo per liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni, per liberarsi dalla sofferenza, duḥkha, e ricongiungersi con l’Assoluto. Lo yoga moderno ha un po’ perso questa caratteristica ed è diventato poco più che una ginnastica. La mindfulness, che in lingua pali si traduce con “sati”, nel Buddhismo ha uno scopo simile: raggiungere la comprensione ultima, la verità assoluta, e cioè che tutto è vacuità e impermanente, sempre per interrompere il ciclo delle rinascite ma, in questo caso, per raggiungere il nirvāṇa, l’estinzione. La mindfulness di cui sentiamo parlare oggi, invece, arriva dal programma del biologo statunitense Jon Kabat-Zinn, il Protocollo MBSR per la riduzione dello stress, un percorso di meditazione di otto settimane che ha preso ispirazione anche dallo yoga e dalle pratiche buddhiste, ma che lascia esplicitamente da parte la componente spirituale per permettere a tutti di praticare, anche a cattolici, musulmani, laici, atei, persone che magari vogliono iniziare a meditare per gestire lo stress (i dati scientifici confermano i benefici) pur continuando a professare la propria fede o non avendone nessuna.

Siamo nel pieno della Settimana della Moda milanese: qual è il punto di vista di chi insegna e pratica la mindfulness su questo via vai frenetico tutto luccichii e chiacchiere? (ci sarebbero anche gli affari, ma questo è un altro campionato)

Simile a quello del personaggio sdraiato a terra nel video Just dei Radiohead.

Ma se dici moda dici arte: tu che conosci il mondo dell’arte e sei anche la moglie di un grande pittore (Pietro Geranzani, n.d.r.), pensi che la mindfulness possa anche assolvere a una funzione similare all’arte terapia?

L’arte, come la musica e la scrittura, sono in qualche modo forme di meditazione e possono aiutare a lenire la sofferenza. Ed esistono anche le meditazioni sul suono, il Mindful Writing (scrittura consapevole). Nello zen, l’arte della pittura e della poesia sono pratiche a tutti gli effetti. Vi consiglio le poesie del grande maestro e monaco giapponese Eihei Dōgen, fondatore della scuola Sōtō.

C’è parecchia filosofia nei tuoi libri: possiamo considerare la mindfulness una visione del mondo?

La consapevolezza aiuta ad aprire la mente. Etichette e definizioni diventano limitanti. Ogni confine un’illusione. Inoltre, la meditazione, proprio come la filosofia, insegna non soltanto a vivere ma soprattutto a morire.

Faccio a te la stessa domanda che ho fatto a Stefano Zecchi: secondo te siamo in un’epoca dionisiaca o apollinea?

È semplicemente quello che è, è il nostro presente. Ogni epoca racchiude in sé caos e armonia, nichilismo e fede cieca, e non potrebbe essere altrimenti. A volte sembra che prevalga uno, a volte l’altra. È come per il bene e il male: coesistono oppure nemmeno esistono? Non sono solo nomi che diamo alle cose per rassicurarci e per illuderci di poter comprendere meglio la realtà che ci circonda?

Mi pare che uno degli insegnamenti della mindfulness sia il fatto che non dovemmo aggrapparci a nulla: cosa vuol dire?

Tutto cambia continuamente. Non ha molto senso aggrapparsi a qualcosa che sappiamo già che avrà una fine. È bene imparare a godere seriamente di ogni attimo, e non come modo di dire o frase fatta. Non basta leggere queste parole, bisogna farne esperienza grazie alla pratica. Perché certe persone con malattie terminali raccontano di aver iniziato a vedere tutto sotto una luce nuova? Perché iniziano a vivere il momento presente, perché non hanno più tempo, perché niente è più importante. Ma si può arrivare a vivere sotto questa nuova luce ben prima, ogni giorno, senza aspettare di essere in punto di morte.

Hai detto che vivere il momento presente non vuol dire vivere alla giornata: vorresti spiegarci questo passaggio?

Vivere alla giornata vuol dire smettere di sognare, di fare progetti, di pensare al futuro. Vuol dire essere indifferenti. Vivere il momento presente è l’opposto di tutto questo. La meditazione insegna a essere presenti quando si sta facendo quello che si sta facendo, a esserci. Ben vengano i sogni, le fantasie, i progetti per il futuro, ma non possiamo vivere perennemente dando retta soltanto a questi pensieri. Noi dobbiamo vivere qui e ora, e non passare il tempo a fantasticare. Anche perché la maggior parte delle volte non si fanno bei sogni a occhi aperti ma si cominciano a immaginare scenari catastrofici, avvenimenti orribili che magari non si concretizzeranno mai, un futuro pieno di angoscia e paura. Oppure ci ritroviamo a pensare al passato con rammarico, nostalgia e sensi di colpa. Ecco, con la pratica noi educhiamo la mente a stare nel presente, perché la vita è qui, in questo momento, e così la nostra possibilità di essere felici.

La mindfulness può servire a curare anche alcune patologie?

Può aiutare a gestire l’ansia, l’insonnia, la depressione, i disturbi psicosomatici, i problemi familiari, quelli alimentari, l’acufene. La mindfulness può fare molto ma non guarisce. Può insegnarci a non perdere la rotta quando finiamo in una tempesta emotiva, quando ci ritroviamo a vivere situazioni difficili. Mi sembra già molto.

Sei nata a Jesi, un luogo geografico e, chissà, magari anche dell’anima, così lontano dalla frenesia di una metropoli come Milano: noi di OFF come ben sai teniamo molto all’identità culturale dei territori, c’è una città identitaria che hai nel cuore?

La mia città è Milano. Sono nata a Jesi ma a tre anni vivevo già qui, in questa amata e odiata città. Però non credo che vorrò morirci. Per vent’anni ogni estate sono andata in vacanza nelle Marche da mia nonna, in un piccolo paesino nell’entroterra che porterò nel cuore per sempre. Vado ancora a trovare gli amici che vivono lì. Poi, crescendo, ho viaggiato tanto. Mi sono innamorata di Tangeri, Cape Town, Reykjavik, dei deserti del mondo, ma alla fine, dopo tanto vagare, sogno di finire i miei giorni in un piccolo borgo, qui in Italia, in una casetta in montagna con un piccolo spazio per accogliere chi vorrebbe venire a imparare a meditare da una vecchietta che magari nel frattempo è pure diventata un po’ saggia.

Per il tuo compleanno ti avevo regalato la prima edizione de “I miei primi 40 anni” di Marina Ripa di Meana: l’hai letto?

E pure in una vecchia edizione davvero speciale! È ancora incellofanato… è un po’ come le Barbie da collezione… vale di più se non lo apro, no?