Un mix di sogni prende vita sul palco di via Giulia a Roma alla ricerca di un equilibrio emotivo che racconti l’essere umano in bilico tra tante maschere che ognuno può indossare. Ad accogliere questi sogni da sei anni c’è Silvano Spada direttore artistico del Teatro Off Off che è partito il 7 novembre con una nuova e variegata stagione.
Il teatro OFF OFF è una realtà giovane che si è affermata molto bene nel panorama scenico di Roma. Da cosa, come e perché è nato il progetto?
È vero, l’Off Off ha fatto presa da subito sul pubblico diventando quasi un “cult” per Roma e di questo sono molto felice. Tutto è nato perché fin dalla giovane età mi sono trovato immerso nel mondo dello spettacolo con i grandi protagonisti dell’epoca. Proprio da artisti del calibro di Anna Magnani, Luchino Visconti, Zeffirelli e quanto di più rappresentativo ci fosse in quegli anni, mi sono sentito protetto e guidato. Prima del teatro di via Giulia sono stato l’ideatore e il fondatore del Todi Festival, un ciclo che nonostante abbia avuto molto successo era, per via del fatto che mi piace cambiare, destinato a chiudersi probabilmente per lasciare spazio proprio all’OFF OFF THEATRE.
La caratteristica dell’OFF OFF è quella di essere uno spazio aperto a tutte le realtà: propone i classici fino alle opere contemporanee che trattano argomenti scomodi, c’è un tema a cui non daresti ma la scena?
La prima scelta è rivolta alle opere dei grandi autori e con attori che rappresentano il nostro passato. Io personalmente sono comunque portato a lasciare spazio ai giovani. Diciamo che tendo a seguire l’esempio di Broadway dove sul palco si alternano grandi nomi e nomi emergenti. Non amo la ghettizzazione che incasella i “vecchi” da una parte e i “giovani” dall’altra. Ciò che conta per me è il merito ed una artista meritevole che sia adulto e pieno di esperienza o giovane devono poter calcare lo stesso palcoscenico. Alla fine credo che questa sia la chiave del nostro successo. Perciò che riguarda gli argomenti io credo che non esistano argomenti scomodi, probabilmente il peggiore è il tema della guerra che ci affligge purtroppo da tempo. Ciò che invece avviene nell’animo umano è interessante, esiste ed è inutile nasconderlo anzi, ritengo saggio parlarne. L’unica categoria a cui non darei mai spazio è quella dei guerrafondai ossia a chi non comprende che su questa terra bisogna convivere, magari senza propriamente volersi bene, in quanto capisco possa essere difficile, ma senza dubbio bisogna rispettarsi.
All’estero molti teatri hanno programmazioni molto lunghe per ogni singolo evento. Proporre un cartellone così fitto e ricco di spettacoli è, per voi, una scelta o una necessità ?
Sia l’una che l’altra. La programmazione è sempre frutto di una scelta e nel scegliere si corrono dei rischi. La programmazione serrata dunque nasce dalla necessità di offrire un cartellone adatto a diversi tipi di pubblico e quello romano è particolarmente variegato. C’è a chi piace ridere e sorridere ma a noi piace anche riflettere e far riflettere. Va da sè che offrire una cinquantina di spettacoli a stagione ci permette di andare incontro alle esigenze di tutti. Anche quest’anno sarà prevalentemente così ma per qualche spettacolo abbiamo lasciato uno spazio maggiore per favorire teniture più lunghe. Questo rappresenta per noi un traguardo e pure una grande sfida.
La scelta editoriale è appannaggio solo del direttore o sei coadiuvato da una squadra? Quali sono i criteri adottati per la selezione degli spettacoli in cartellone?
Nell’impostazione del cartellone le scelte editoriali sono mie in quanto direttore artistico ma grazie a Dio non sono solo perciò posso contare sulla collaborazione di persone appassionate di teatro molto competenti. Da soli nella vita non si fa niente quindi siamo un bel team, pure numeroso, senza il quale sarebbe difficile scegliere i testi. Inoltre seguire gli attori fino al debutto e mantenere vivo il rapporto con il pubblico è una impresa che ha le sue complicazioni. Di sicuro c’è che lavoriamo tanto, con impegno e allegria, consci di cooperare per un’impresa di successo.
Il 7 novembre si debutta con il Gran Varietà, un’idea apparentemente bizzarra, rispetto alla sobrietà della struttura, voluta dal direttore, è così o ti sei fatto ispirare da altri suggerimenti?
L’idea del varietà è mia. Non c’è lo zampino di nessun altro anche perché per carattere non lo consentirei. Si tratta di una scelta culturale. Il varietà è un tipo di teatro nato in Francia negli Anni Trenta che ha avuto molto successo anche in Italia fino agli Anni Cinquanta, basti pensare a Wanda Osiris e Erminio Macario, Ugo Tognazzi, Walter Chiari, la straordinaria coppia Mondaini Vianello che molti ricorderanno anche se pare, e lo dico nel testo, che l’ultimo protagonista di un tempo che fu sia per tutti, vecchi e giovani di tutto il mondo, Michael Jackson. L’operazione varietà è soprattutto quella di creare distensione e svago, oggi più che mai, considerati gli eventi che ci affliggono tutti, io però considero doveroso rendere omaggio ad un certo tipo di teatro e farlo conoscere ai più giovani. Proprio per questo motivo piuttosto che una scelta bizzarra, quella del varietà, la trovo coraggiosa e divertente. Insomma, siamo molto felici di partire per questa avventura.
Si parlava dell’utilizzo eventuale del magnifico cortile interno del palazzo che vi ospita. C’è ancora l’idea?
Il teatro Off Off ha sede in via Giulia, la più prestigiosa e storica di Roma, a Palazzo Varese, un monumento nazionale opera del Maderno e di proprietà della fondazione Mancini Iacobini, voluta dall’ultimogenita Emilia Mancini. Il teatro dunque è ospite, ovviamente pagante, di questi spazi e il cortile quindi non appartiene soltanto al teatro. Fermo restando che volendo si potrebbe usare per gli spettacoli all’aperto, visto che Roma con il suo clima meraviglioso lo permetterebbe, al momento non è nei nostri piani utilizzare il cortile: d’inverno ci basta la splendida sala e d’estate preferiamo andare al mare.