“Cento domeniche” l’epopea degli ultimi di Antonio Albanese

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Cento domeniche sono necessarie ad un bravo artigiano per costruire la casa della vita con le proprie mani, di domenica così da non sottrarre tempo prezioso al  al lavoro. Ma  è anche il titolo che Antonio Albanese, nella sua vena più cupa, ha dato al suo ultimo lungometraggio. Una storia sull’onestà e che racconta senza retorica di come la vita possa sparigliare le carte in tavola a suo piacimento. Dal racconto sembrerebbe che a rimetterci, in questa esistenza, siano sempre le persone semplici, quelle corrette, coloro i quali cercano di vivere senza pestare i piedi a nessuno affinché nessuno li pesti a loro.

Il cinico cantastorie ci dice anche che la ruota gira a caso, come nella roulette russa. Se è arrivato il tuo momento il proiettile si trova in linea con la canna della pistola che a sua volta, sparando, ti uccide. Il protagonista Antonio è un uomo tranquillo come molti di noi, ha dei sogni, proprio come noi, neanche tanto strambi, soprattutto se la sua massima aspirazione è organizzare il matrimonio della figlia.

Ha un conto corrente dove da sempre versa i suoi risparmi con parsimonia e un funzionario nel quale ripone la sua fiducia. Antonio spesso firma documenti e accetta le clausole che gli stessi documenti riportano senza leggere una riga, solo sulla fiducia, solo perché … tanto è la prassi… Ecco su questa prassi si dipana il senso della storia che Albanese ci racconta con Cento Domeniche.

La vittima è una sola ma a tutti gli effetti lo sono anche i comprimari che fanno parte del sistema come “quasi” tutti, perché tutti non saranno mai schiacciati visto che a questo mondo ci sono i burattinai che tirano i fili dei burattini. È inutile girarci intorno, questo film è un pugno nello stomaco che inizia a dare la nausea fin dalle prime battute. Sta allo spettatore se andare a vederlo e condividere con il protagonista il senso di disagio che molti stanno vivendo in questo preciso momento storico dove l’incertezza regna sovrana.

Il lavoro del regista è comunque molto approfondito e pure la sceneggiatura non lascia punti d’ombra. Chiunque può riconoscersi nei protagonisti: chi nel funzionario di banca, chi nell’amante, chi nell’ex datore di lavoro e quanti si potranno riconoscere negli amici pronti a dare una mano, costi quel che costi.

Albanese guarda con occhio disarmato anche al peggiore dei vigliacchi perché anche lui è vittima quanto meno di se stesso e delle proprie paure. In questo sta lo spirito democratico di questa opera così cruda, così sfiduciata e vera. Dal crac della Parmalat alla crisi del Monte dei Paschi, per citare qualche esempio, purtroppo per tanta gente la triste favola di Cento Domeniche ha rappresentato la realtà e Antonio Albanese, oggi più che mai, non vuole farcelo dimenticare.