Ferrario:”Con Max Pezzali ho imparato a rendere le emozioni, un lavoro”

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Max Pezzali al concerto del trentennale di carriera lo ha presentato come il chitarrista, tastierista, produttore e organizzatore del tour Max30: Davide Ferrario è un giovane musicista con alle spalle una storia potente. Ha lavorato al fianco del maestro Franco Battiato e dal 2013, collabora a stretto contatto con l’idolo del pop italiano senza perdere di vista il suo personale cammino professionale di autore di respiro internazionale.

Hai lavorato con Battiato e Pezzali. Cosa hai imparato da loro?

Esiste un filo rosso che lega tutti quelli che si occupano di arte nella vita: la capacità di rendere le emozioni un lavoro. Ovvero, quella di saperle scomporre, razionalizzare e di metterle a frutto. E’ in questo processo che l’indefinibile prende forma e diventa arte. L’emotività non controllata non servirebbe a nulla. Sarebbe come avere un motore potentissimo senza  quattro ruote da collegarci. Probabilmente è l’insegnamento più grande che ho ricevuto e comunque certamente il più utile. Naturalmente, è avvenuto in modo involontario. Nessuno si è messo a spiegarmelo. Certe cose viaggiano su piani intangibili.

 Dichiari di essere un autodidatta e suoni tastiere, pianoforte, chitarra. Sei anche corista e vocal coach. Vuol dire che si può arrivare in alto senza scuola?

Non lo dico io, lo dicono i fatti. Tutto sommato moltissimi talenti della musica non hanno studiato lungo percorsi accademici. Ciò non significa non studiare ma adottare altre strategie. Io non sono tecnicamente preparato. Sono un modesto chitarrista e un amante dei sintetizzatori. Strimpello il pianoforte perché ne amo il suono ma non posso ritenermi un pianista, ma dai limiti tecnici nasce lo stile. Mi spiego: possiamo dire che lo stile sia composto da una serie di workaround atti a raggiungere qualcosa che tecnicamente non sai fare, perché non te l’ha spiegato nessuno. Se non riesco a riprodurre una certa melodia  tecnicamente troppo complessa, con la chitarra o con qualsiasi altro strumento, troverò delle soluzioni alternative per arrivarci. La personalità di un musicista si sviluppa esattamente in quel processo perché è il modo in cui ci arrivi che diventa solo tuo. Ai secchioni ho sempre preferito i musicisti tecnicamente meno preparati, ma con più personalità.

 Dal 2013 collabori con Max Pezzali. Per te che eri un bambino nel suo periodo musicale più prolifico è stata una scelta puramente professionale o anche perché ti piaceva la sua musica?

 E’ difficile essere nati nell’81 e non essere stati fan di Max. Ho un paio di ricordi legati a questo. Ne dico uno per non essere logorroico. Un anno i miei mi mandarono in uno di quei campi estivi gestiti dai preti dove esiste tutto tranne che la tolleranza. Branchi di ragazzini che  passavano un po’  di tempo a fingere di fare le preghiere o qualche attività religiosa e il resto del tempo a bullizzarsi tra loro. Io sono sempre stato timido e non avevo legami con nessuno, quindi, di fatto, ero escluso da tutte le attività, anche le più divertenti, e vivevo un disagio enorme. C’era un’animatrice, ad un certo punto, che suonava l’Uomo Ragno alla chitarra e io mi accorsi che sbagliava qualche accordo. Trovai la forza di dirglielo e di correggerla. Improvvisamente tutti si resero conto che sapevo suonare. Mi misero in mano una terribile chitarra classica e diventai l’idolo del campo estivo, purtroppo solamente un giorno prima della fine. Ovviamente suonai “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” per quarantotto ore di fila. Buffo che, a luglio, abbia fatto la stessa cosa a S. Siro.

 Se potessi scegliere di lavorare con un musicista di qualunque epoca, con chi vorresti farlo e perché?

Con nessuno. Sto bene dove sono. Max è la mia isola felice. Oltre a quello per me esiste solamente la musica elettronica che è l’ambito in cui mi esprimo meglio e che mi ha aperto un sacco di canali interessanti con etichette straniere. In Italia certa roba non esiste, non la vuole nessuno. Da grande vorrei tornare in provincia e occuparmi di quello. So vivere con poco e non mi interessa la competizione. Uno studio, dei sintetizzatori, una casa, una bicicletta, delle scarpe da running e un bar con i miei amici la sera sono tutto ciò di cui ho bisogno per essere felice. Nel mio nuovo disco ci sono alcune collaborazioni con cantanti che ho coinvolto per amicizia e stima reciproca. Non lo so ancora quando verrà pubblicato ma sono felicissimo. A tutti è piaciuto. Sarà che sono amici, che ti devo dire.

 Cosa pensi dei talent show musicali? Possono rappresentare una scorciatoia per i giovani emergenti?

Mi sembra evidente che non sia più così. La tv con la musica c’entra poco, viaggia per altri sentieri. Si tratta di contenuti televisivi e il focus è sempre spostato su aspetti che personalmente trovo davvero poco interessanti, non occupandomi di televisione. In qualche caso è stato un facilitatore, ma mi sembrano prodotti che hanno poco di musicale e molto di altro. Ben venga che esistano se a qualcuno fanno bene, ma non so che dire. Io faccio un altro lavoro.

 Sei un musicista, un produttore musicale apprezzato. Cosa ti manca per realizzarti definitivamente in un protagonista assoluto?

Io sono sereno, credo si percepisca questo più di tutto. La realizzazione è un concetto che non è in linea con la mia visione delle cose. Si cambia continuamente, la vita ti porta a fare cose che mai ti saresti aspettato. Non c’è una vetta da raggiungere dove ad un certo punto  si pianta una bandierina e ci si ritiene realizzati. Si tratta piuttosto di una salita al 5% continua: non finisce mai ma uno cerca di godersela, di guardare il panorama e di trovare la forza e gli stimoli per andare avanti. Potermi alzare la mattina, fare sport, andare nel mio studio e produrre la mia musica è un privilegio assoluto. Non mi interessa la ricchezza, avrei scelto un altro lavoro. Mi interessa rimanere fedele a me stesso. Di cavolate ne ho fatte nella vita. Ho anch’io le mie “Caprera” di Boris (fiction fallimentare realizzata dal regista René della famosa serie, ndr). Ecco, ho chiuso con quella roba là. Piuttosto preferisco essere povero, ma voglio vivere sereno.