I sonetti di Gabriel Del Sarto, quel “bianco di luce” attraversato dal padre

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“Pari a te, questa notte,/ che dormi trasparente nel mio abbraccio.” Quello bianco di luce fino alla trasparenza è Giona, appena nato. Lui, suo padre, Gabriel, non è che densità: di vita, fatti, circostanze, pensieri, ricordi, e ancora pensieri, quelli degli altri, la confusione assordante accecante nera che vorrebbe sostituirsi ai suoi. Invece il poeta che è in lui resiste – ed ecco un libro di sonetti e prose liriche esilissimo, quintessenziato, fermo, estatico, libero, originario, vivo delle fonti stesse della vita. Sonetti bianchi (L’Arcolaio 2002, pp. 59, € 8) è la raccolta con cui Gabriel Del Sarto canta il suo quarto figlio. Lo stupore di scoprirsi libero nel dirgli sì, nel dire sì al flusso di cose da dirgli, rese bianche di luce e trasparenti dalla bellezza di quel suo atto di devoto coraggio verso la vita che arriva, non si sa da dove e con quali perché.

È tutto trasfigurato quando hai un motivo, un’occasione di amore e l’universo hai la fortuna di guardarlo come per offrirlo. È l’unica volta in cui entri nella metafora del giardino e la capisci. Le cose belle che spuntano come fiori, dalle macerie, dalle distese di tombe coperte di muschio, dai referti medici, dalla vecchiaia, dalla miseria, dal disordine del rimbombo di ogni giorno e strada. “La fine dell’inverno non riguarda/ chi è amato”.

Di solito sono le madri, solo loro, a “farsi attraversare/ dai figli, dalle correnti enormi/ dei cieli”, perché risucchiate nell’urgenza terribile di quel nascere, e poi, in un istante infinito, nello stupore, nella trasparenza, quando il figlio non è più mistero, ma è lì davanti, finalmente, veramente compiuto e nuovo. Le vene azzurre che scaldano quella pelle ancora liquida nel bianco.

E dove può andare un pensiero in equilibrio prima di ogni contenuto, la parola che è solo e totalmente un nome – Giona – (che nome immenso!) stupefatto? Oscilla tra Eden e il lago di Tiberiade, come dondolano al vento gli amenti di un nocciolo, i tralci di una vite. Raggiunge “gli orli del cosmo”. Si ritrova davanti “il mondo com’è, guardato/ per sempre”. Ascolta “una musica grande che piega/ i calendari”, “il salmo purissimo che ora tiene/ la mia mente viva”. E conosce “la vita inerme e più debole”.
Capisce che “questa trasparenza/ è tutto”. Che Giona non farà altro che nascere.