Enoch was right. E lo dicevano più di 50 anni fa. Enoch Powell è stato un deputato britannico e se oggi fosse ancora vivo (morì a Londra, l’8 febbraio 1998) e operativo, magari in Italia ma non necessariamente solo qui, lo lincerebbero. Il 20 aprile 1968 alla televisione ATV di Birmingham tenne quel discorso passato alla storia come “il discorso dei Fiumi di Sangue” (Rivers of Blood) nel quale senza mezzi termini metteva in guardia la Gran Bretagna dal pericolo rappresentato da una presenza sempre più massiva e soprattutto sempre meno tollerabile di non inglesi, prevalentemente provenienti dalle ex colonie dell’Impero (Giamaica, India, Pakistan), che tutto facevano meno che un’integrazione/interazione pacifica.
Mettiamo subito dei paletti: Enoch Powell aveva combattuto sia il Fascismo che il Nazismo nei ranghi dell’Intelligence militare, in Nord Africa nel biennio 41-42 fu un acerrimo nemico dell’Asse (Germania, Italia, Giappone) contro l’Africa Korps con azioni di sabotaggio e spionaggio e pianificò la seconda battaglia di El Alamein. In abiti civili fu il più giovane titolare di cattedra universitaria (professore di Greco all’Università di Sidney a 25 anni: meglio di lui solo Nietzsche e Schelling, a 24), non veniva dalla upper class britannica (genitori insegnanti e nonno minatore) e come deputato del Partito Conservatore mise subito e sempre in guardia la politica e la società civile dai rischi derivanti dalla cavalcante industrializzazione del Paese in salsa liberista. Conosceva 16 lingue, amava i classici greci e latini e insomma, Enoch Powell non era un buzzurro aristocratico razzista.
Eppure le sue idee basate sulla necessità di fare qualcosa nel presente, anche di impopolare, per preservare il Paese dalla catastrofe futura, gli costarono caro: isolato all’interno del suo stesso partito per i suoi strali contro l’immigrazione incontrollata e contro la CEE (cioè la Comunità Economica Europea, l’embrione dell’Unione Europea), a pochi giorni dalle elezioni del 1974, che quattro anni prima erano state vinte dai Conservatori anche grazie a lui, si dimise e abbandonò per sempre l’attività politica, non senza però dedicarvi un impegno intellettuale sia pure fuori dal Parlamento.
Nel suo “discorso dei Fiumi di Sangue” alla televisione ATV di Birmingham non era stato certo tenero sul problema immigrazione, ricorrendo come rimandi esplicativi alla esposizione di fatti di cronaca di intolleranza al contrario che palesavano una pressoché impossibile integrazione: la sua cura per la britishness era tale da fargli ritenere che la salvaguardia dell’identità britannica fosse effettivamente e seriamente minacciata dal processo di reindustrializzazione del Paese e dalla conseguente invasione di migliaia di immigrati.
Dove stava il problema? Semplice: nella legge, volta e approvata dai Laburisti, Race Relation Act, una specie di legge Zan ma contro l’intolleranza, che per il deputato conservatore era, oltre che ingiusta, discriminate verso i suoi concittadini e pericolosa, viatico al possibile arresto degli accusatori anziché degli accusati nelle dispute civili più o meno gravi della vita associata di tutti i giorni.
La soluzione al problema immigrazione di Powell farà fischiare le orecchie a molti dei nostri di oggi: stop all’immigrazione incontrollata e rimpatrio. Ma il suo discorso venne bollato come hate speech, “discorso d’odio”, espressione che viene usata ancora oggi per stigmatizzare le affermazioni, sia pure, come dire?, ruspanti, di chi canta fuori dal coro unico sui temi scottanti (si ricordino le accuse di hate speech a Donald Trump).
Oggi in alcuni quartieri inglesi viene applicata la sharia per la soluzione di dispute amministrative e i cartelloni pubblicitari che raffigurano giovani donne evidentemente troppo poco vestite vengono messi al bando per oscenità: quel discorso di Enoch Powell suona quindi quanto mai attuale.
Il Discorso dei “Fiumi di sangue” è il titolo del libretto, edito da Italia Storica a cura di Andrea Lombardi, che propone la versione italiana, seguita dal testo originale in inglese, di quel rovente atto d’accusa; il libro, di 64 pagine con foto in nero, contiene, oltre al testo di Enoch Powell, uno scritto di Maurizio Serra e una prefazione di Davide Olla.