Che meraviglia gli scatti “western” di Lorenzo Cicconi Massi

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Il fotografo e regista senigalliese ha vinto il premio Art Now consegnato ieri al Festival di CulturaIdentità

Lo abbiamo visto di recente a Milano da Still Fotografia per la sua personale a cura di Denis Curti: lui è Lorenzo Cicconi Massi, fotografo e regista  senigalliese (suo il lungometraggio Prova a volare del 2003, con un debuttante Riccardo Scamarcio) che ieri era alla seconda giornata del Festival di CulturaIdentità a Senigallia  ha ricevuto il Premio ArtNow 2022 da Sandro Serradifalco, editore di ArtNow e critico d’arte. Cicconi Massi lavora dal 2000 con l’agenzia Contrasto, ha vinto numerosi premi (Canon, World Press Photo, G.R.I.N.) e le sue immagini sono regolarmente pubblicate dalle più importanti riviste italiane e internazionali, ma sbaglieremmo se considerassimo la sua come un’estetica di reportage.

facebook.com/lorenzocicconimassi

Un po’ di Giacomelli, suo conterraneo («Giacomelli mi è entrato sottopelle, ma quando scatto lo dimentico»), un po’ di Tina Modotti, il suo bianco e nero dai contrasti massivi mostra l’essenziale trascendendo la realtà e immergendosi in una contro-realtà a metà fra il reale e l’onirico.

La realtà è sempre il punto di partenza, ma poi la visionarietà di Cicconi Massi si eleva, come nella serie Le donne volanti («Mi sono inventato dei veri e propri accrocchi per far volare queste ragazze…»), o si contrasta, come nella serie La liquidità del movimento, dove quanto di più fisico si possa immaginare (il movimento, appunto) si eternizza in un adesso immobile che fa pensare alla statuaria greca.

ritratto a Marta, anno 2002, marche

Dice Cicconi: «Per me la luce è fondamentale: gran parte del mio bianco e nero è costruito su una luce di tramonto, non tanto per i colori visto che uso il bianco e nero, quanto per il movimento della luce, per il suo cadere non più a perpendicolo ma parallela, come se entrasse negli occhi senza creare ombre sui volti».

facebook.com/lorenzocicconimassi

Una visione che risente molto anche del suo lavoro di regista: «Il mio modo di inquadrare è una conseguenza della fascinazione per i film western di Sergio Leone, dove l’eroe o l’antieroe entra in scena parallelo alla camera dando il suo profilo come una quinta per l’azione, come presenza sovrumana. Certe inquadrature da terra, con il punto di vista dallo sperone sui tacchi degli stivali del cowboy, si possono ritrovare nelle mie foto, in alcune delle quali faccio intervenire sulla scena elementi naturali come fili d’erba che si integrano nell’inquadratura in maniera quasi monumentale».

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