Quando il teatro si fa rito: quella forza tranquilla di Peter Brook

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Thomas Rome via Flickr

Si è spento a 97 anni Peter Brook, uno dei registi teatrali più influenti del XX secolo, che ha reinventato l’arte riducendola agli elementi più elementari e potenti del dramma.

Peter Brook ci ha insegnato che fare Teatro è difficile. L’attore rapportandosi con questa nuova vita del palcoscenico è sempre difronte a due strade: to be or not to be, pensiero o azione? È il pensiero che ci guiderà verso l’azione giusta o meglio buttarsi nell’azione: “prima fai, esegui, il resto verrà?” E poi, il senso di colpa di chi si appresta ad entrare in arte, la frustrazione, lo scoraggiamento e la delusione del dovrei avere successo, consenso, potrei fallire. Peter Brook chiedeva ai suoi attori di respirare, di lavorare liberamente. Il Maestro era lì: con tutta la sua energia, gli occhi sottili, affascinava e terrorizzava quel sorriso strizzato, a fessura english, l’intelligenza appassionata, l’estremo perfezionismo. Toglieva di dosso agli attori quelle certezze del mestiere, le pose, i manierismi e facendo questo stranamente ti sentivi protetto e non sguarnito. Peter Brook è stato il primo ad esplorare lo spazio teatrale, ad entrare in nuovi rapporti con esso, a trovare una forma esteriore che fosse impulso senza particolari codici o tecniche. Il teatro di Brook era una forza trascinante, una “forza tranquilla” per citare un famoso slogan presidenziale francese, che sfidava la mediocrità della vita rassegnata delle tournée o della fiacca routine della rappresentazione. Un maestro che si metteva in basso e non in alto. Alto e basso coincidono. La visione della meta che sta in alto è falsa, il successo illude, il percorso attoriale è qualcosa di spirituale. Bisognava creare dal nulla una storia completa, coerente, divertente e poi nelle repliche delle prove trovare nuove scintille di interesse per mantenere la scena viva. Peter Brook non chiamava lo spettacolo “ bello o brutto” ma “ vivo o morto”. C’è vita in quello che facciamo? Ci sarà attrazione-contatto tra noi e il pubblico che viene a vederci con una promessa di divertimento? Il piacere del gruppo di lavoro, la condivisione porta con sé l’ispirazione. Il pubblico è lo specchio di quello che siamo e stiamo facendo. La gente entrava a teatro e accettava il gioco di Brook e lo spettacolo decollava sempre. Peter Brook analizzava ogni dettaglio del lavoro con i suoi attori: ritmo, caratterizzazione, esperienze personali e basi del mestiere. Vedendo i suoi spettacoli si capiva subito che da quella pedana scarna, vuota, con addosso qualche tappeto orientale, dal suono di un gong, un vago sentore di incensi, il tutto si sarebbe trasformato in qualcos’altro: il Teatro ridiventava Rito, necessità vitale per gli interpreti e per il pubblico come al tempo dei Greci. E che pubblico è quello a cui ci rivolgiamo? A che distanza metterlo? Per Brook vale la massima di Strehler (per chi non lo sapesse resta il più grande regista di teatro italiano) che diceva: “ il pubblico non deve trovarsi davanti a uno spettacolo, ma dentro uno spettacolo”. Ecco, per Peter Brook era così, teatro come un’esperienza indimenticabile. Ti faceva viaggiare e lui di viaggi ne aveva fatti tanti: Iran, India, Africa, Cina, Giappone, rintracciò persino il teatro negli Indiani d’America. Il teatro è corpo oltre che parola e hanno senso il peso di uno sguardo, un abbraccio, di una camminata, un gesto per una cultura ha una valenza che cambia in base a dove sei: per gli orientali ad esempio mostrare i denti sorridendo è segno di aggressività per noi occidentali il contrario, in certe culture arabe mostrare la pianta di un piede è offensivo, ecc.. L’attore dovrà avere familiarità con tutte le sue espressioni e con il nuovo mondo del teatro fatto di legni dipinti, stoffe dei costumi, musiche, un testo da recitare. I suoi attori provenivano da tutto il mondo, le sue produzioni andavano da Shakespeare al Mahabharata indiano, da Samuel Beckett a Oliver Sacks. Brook ci ha fatto scoprire un nuovo linguaggio del teatro, più arcaico e sacro. Siamo in presenza oggi di una vera inflazione di maestri di vita, follower, figure social che fanno tendenza, guru e “paraguru” (cit. Roberto D’Agostino): ci indicano strade nella vita, ci chiedono di seguire uno stile, una moda, nessuno tollera la normalità. Brook sembrava normale, non era un ammaestratore di pulci, un promotore di impegno civile con comunicati politici a profusione, o un’eremita fuori dal mondo o un regista dittatore. Brook ci metteva in guardia dalla routine compulsiva che ci avvolge, chiedeva ai suoi attori di respirare liberamente rivoltando con occhi nuovi il senso comune di vedere le cose. Un maestro che sopravviverà alla sua età biologica. Il suo teatro è stato e sarà sempre un cerchio formidabile di vita, arte e pensiero libero. Grazie Maestro per la generosità con cui hai trasformato la Storia del Teatro.