Mauro Baio: “Quando lo sport diventa arte”

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Quella parte del campo da tennis compresa fra le aree di servizio e la linea di fondocampo è chiamata dead zone: “zona morta” ed è proprio lì che, se in tattico svantaggio, si può facilmente essere attaccati dall’avversario. Non certamente un caso se quella stessa “terra di nessuno”, diventa la nomenclatura di riferimento descrittiva dell’arte di un giovane artista, Mauro Baio, lecchese classe 1991 che, nonostante una malattia invalidante come l’artrite, non perde positivitĂ  ed intraprendenza per fare delle sue passioni arte e sport, inspirazione per il suo lavoro, presentato in una personale No man’s land presso la galleria Luigi Solito di Napoli, con l’intento di farci mettere “piede” in quella sua “zona di gioco” altrimenti sconosciuta. 

Una tabula rasa pronta all’uso, un inizio ex novo, così ossimorico da proiettarci in un’illusoria serenitĂ  del tutto lontana dalla noia ma tra le rigide strutture formali e campiture di colore che avvolgono le linee architettoniche delle sue opere. Quadri come finestre d’affaccio  su scenari di naturalistica utopia, perfetti , irraggiungibili ma estremamente reali,  giochi di luce ed ombra,  riflessi mai banali, che disegnano un universo metodologico fatto di meditazione, pazienza e tenacia, come spesso si presenta la vita. Caratteristica la sua pittura ad olio a campiture piatte, con un ricercato utilizzo della luce, regina dei suoi paesaggi mozzafiato. La stessa che dona un senso di tranquillitĂ  e pace, unita a quel silenzio, figlio dell’assenza di figure umane, che permette all’artista di mettere su tela qualcosa di così singolare ed intrinsecamente complesso.

“Non mi interessa esprimere ciò che penso e che sono, dipingo perché sento il bisogno di farlo, altrimenti non ce ne sarebbe motivo. L’unica cosa che davvero conta è la superficie ed il colore: il supporto deve essere in quella condizione, il colore deve essere steso in quel modo, altrimenti impazzisco. Non sempre il lavoro produce i risultati che voglio ma alla fine sarà l’opera ad esprimersi, non le mie parole”. (M.B.)

L’esecuzione di Baio è un momento di astrazione dalla realtĂ , una meiosi di geometrica perfezione tra spazi liminali aperti ed assoluti.  E’ in questo stesso modo assoluto e controtendenza, che si schiera contro gli NFT, con un lavoro site specific non immersivo nella realtĂ  virtuale, un’installazione in cui l’osservatore può immergersi senza l’aiuto della tecnologia, di visori nè smartphones, ma entrare nell’opera in maniera analogica solo con la propria presenza fisica, invadendo in toto tutti i sensi come del resto accade effettivamente nella realtĂ , quando si vuole realmente percepire l’anima di un luogo o di un oggetto, ricercare con esso l’empatia, avvertire la sua sensibilitĂ  e condividerne il proprio sentire.

L’arte è d’altronde, per dirlo con le parole di Kazimir Malevic: “Un modello di comportamento ed un progetto di esistenza, volta alla definizione di un grado zero dell’arte e della società in cui in un “nuovo modo di sentire il mondo”, connotato fortemente da una sensibilità pura, per quanto ontologico, criptico, probabilmente utopico, il silenzio regna sovrano e diviene maestosa forza creatrice pronta a stimolare la sfera emotiva, cognitiva e mentale dell’astante a cui viene affidata l’ultima parola”.