“Raccontare sé stessi navigando altrove” Pasquale Esposito nel cast di Hotel Portofino

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Set di "Gomorra 3", regia di Claudio Cupellini. Nella foto Pasquale Esposito. Foto di Gianni Fiorito

Tutti gli uomini recitano, solo pochi attori no.” Partendo col citare uno dei più importanti  e rivoluzionari drammaturghi del novecento, Eugène Ionesco, possiamo tentare di conoscere l’esperienza artistica, il flusso di (in)coscienza (in mancanza dell’Io) di Pasquale Esposito. La sua visione riguardo il mestiere dell’attore è figlia di quel teatro dell’assurdo che lega l’autore prima citato ai vari maghi dell’arte, coloro che hanno saputo entrare in connessione con l’altra parte dell’esperienza umana, come Fellini o Bene, destrutturando il concetto di cinema o di teatro per connettersi in tutt’altro modo con gli spettatori. Esposito nasce proprio sulle tavole del palcoscenico, accanto a grandi nomi, divenendo poi, dopo il successo internazionale della terza serie di Gomorra, uno degli attori italiani più richiesti all’estero. Poliedrico e dal tratto internazionale, ha lavorato negli ultimi anni soltanto in produzioni straniere come la fortunata serie serba Vento del Sud, la tanto attesa Hotel Portofino (al fianco di Natascha McElhone)  e tante altre, spostandosi principalmente tra gli U.S.A. e Londra. 

Leggendo il tuo curriculum si ha subito l’idea di un attore dal tratto internazionale. Com’è stato frequentare l’Actors Studio?

Come mai mi fai questa domanda? Lo so che sei tu a fare le domande. No scherzi a parte probabilmente guardando il mio resume avrai visto che ho studiato con degli attori, insegnanti membri a vita dell’Actor Studio di New York e questo immagino che ti ha portato a menzionare l’Actor Studio. In ogni caso lasciami rispondere alla tua domanda: io l’ho frequentato L’Actors Studio ma come uditore. Devi sapere che non è una scuola, è una chiesa sconsacrata in cui si fanno sessioni due volte a settimana, sessioni in cui gli attori lavorano su delle scene e hanno dei feedback da un moderatore. Per partecipare e portare delle scene come attore devi diventare membro dell’Actor Studio. Ricordo molto bene che quando ero a New York e vi entrai appunto come uditore c’era Arthur Penn come moderatore, poi dopo di lui venne Ellen Burstyn. La mia esperienza anche solo come uditore è stata favolosa perché lì c’è un modus operandi totalmente diverso rispetto all’Italia, una visione strettamente legata allo Studiare eppure devo dire che mentre da un lato ho vissuto l’Actors Studio come un’esperienza fantastica, dall’altro lato mi sono reso conto che era rimasta la struttura ma l’anima rivoluzionaria di Lee Strasberg era totalmente assente, questo ti parlo già di circa diciotto anni fa’. Ormai il sogno americano a mio parere è soltanto un cliché e pensa che per me una volta i grandi attori erano gli statunitensi, ma mi sono reso conto che oggi il grande attore lo trovi ovunque, anche in Serbia dove mi è capitato di lavorare e dove ho trovato appunto attori molto bravi.

Hai fatto tanta gavetta in teatro per poi divenire uno degli attori italiani più richiesti all’estero. Credi sia dovuto allo zampino di “O Sciarmant”?

 Lavorativamente si. La mia agenzia di Londra mi ha preso in considerazione perché ho fatto Gomorra. Se parliamo invece del lavoro dell’attore allora diciamo che sono anni che metto tutto me stesso in ogni progetto. Amo studiare l’origine del comportamento umano, sono interessato al misterioso mondo che si cela dietro ad un gesto, un sospiro o a un particolare modo di rispondere e quindi studio e ricerco costantemente. Di sicuro Gomorra, dato che è stato uno dei pochi progetti italiani venduto in tutto il mondo, è stato il mio trampolino di lancio su scala internazionale a grandi livelli, nonostante erano già diversi anni che lavoravo in film stranieri. Metaforicamente è come se questa serie televisiva mi avesse fatto uscire da una piscina in cui ci sono centomila attori a competere tra loro per ruoli per lo più piccoli, catapultandomi in una in cui ci sono solo diecimila attori e dove ci sono in ballo ruoli di spessore. Sai sul set di Gomorra io ho improvvisato molto e ci sono registi come Cupellini che mi amano per questo ed altri che invece hanno un po’ paura di cosa possa fare in una scena che non sia stato già provato prima.

Dopo Gomorra hai partecipato alla serie serba Vento del Sud. Cosa vuol dire raccontare il male?

Per me il male non esiste come cosa a se’. È chiaro che uno compie un’azione perché c’è qualcosa dietro, il comportamento degli esseri umani è basato sulle loro percezioni. Io vedo quello che chiamiamo male, come il bene distorto, quello che chiamiamo buio come assenza di luce. E’ come dire: “il paradiso lo trovi all’inferno” questo per mettere l’attenzione all’inevitabile complementarietà della vita e non alla contraddizione tra il bene e il male. Faccio sempre molta attenzione in ogni storia che racconto a non cadere nel cliché del buono e del cattivo. Se io dovessi raccontare come attore Hitler, che è l’apoteosi del male, andrei a studiare e ricercare il mondo in cui viveva, i rapporti più vicini che aveva e sarei interessato a scoprire la vulnerabilità nascosta senza lasciare fuori la sua avidità di potere. Sono interessato a raccontare e rivelare i bisogni umani, che sono le colonne portanti dell’identità e che sono quasi sempre nascosti anche a noi stessi. Ogni uomo è l’espressione di un mondo e ogni mondo è espresso nell’uomo. Bisogna stimolare lo spettatore a domande nuove e inspirarlo a riflettere in modo nuovo. Io sono per l’attore che è come un tramite, un medium, metaforicamente parlando è come una finestra attraverso cui altri possono vedere, seguire la storia e fare la propria esperienza. 

So che adesso stai lavorando su alcuni set importantissimi accanto alle stelle di Hollywood. Vuoi parlarcene?

 Questa serie televisiva che sto girando s’intitola Hotel Portofino per la PBS, e andrà probabilmente su HBO negli US, e arriverà anche negli U.K. e ho appena saputo che andrà su Sky Italia. La storia si svolge nel nord Italia degli anni ’20 in cui il mio personaggio, un dirigente fascista italiano, rende difficile la vita ad un gruppo di inglesi che gestisce quest’albergo, soprattutto alla padrona interpretata da Natascha McElhone. Lavorare su questo set è un’esperienza fantastica, mi sto divertendo molto.

Eppure il largo consenso che si è creato attorno a te negli altri paesi sembra non essere udito in patria. Siamo un paese di inutili esterofili?

Guarda non lo so, anche se apparentemente sembrerebbe di si. Io  sono italiano ma vivo all’estero e quindi non sono la persona più adatta a rispondere a questa domanda, poi non sono un politico per cui non saprei cosa dire esattamente. Noto che in Italia c’è la tendenza a nascondersi nel gruppo per non essere visti ed essere tenuti responsabili di qualcosa, quindi si tende a restar nascosti. Per un artista, ma direi per ogni uomo libero di espressione è fondamentale avere il coraggio di uscire fuori dal coro ed esprimere non la propria opinione ma la propria esperienza. L’unica àncora alla verità è “self inquiring” che significa: investigare la natura di se’ stessi.