Alida Valli, i cento anni della diva che disse no ad Hollywood

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“Il mestiere dell’attore è un gioco meraviglioso ma gli affetti sono ciò che veramente conta. Bisogna amare anche rischiando di soffrire”. Alida Valli, attrice indimenticabile di un’epoca d’oro del cinema italiano è stata soprattutto una donna dai profondi sentimenti così come ricorda suo nipote, l’attore Pierpaolo De Mejo (suo nonno Oscar, un importante compositore fu sposato con l’attrice dal 1944 al 1952. Da quel matrimonio nacque suo padre, Carlo).

Oggi, 31 maggio, ricorre il centenario della nascita di questa meravigliosa attrice e donna, intensa e tenace, che seppe essere la fidanzatina d’Italia dei “telefoni bianchi” e poi antidiva internazionale, capace di attraversare generazioni e di rinnovarsi con immutata curiosità davanti la macchina da presa. Alida Maria Altenburger von Marckenstein und Frauenberg, ovvero Alida Valli (il suo nome d’arte lo scelse a caso sull’elenco telefonico) era di nobili origini tirolesi, dalla bellezza malinconica e sofisticata.

70 anni di di luminosa carriera, musa di registi come Visconti, Bertolucci, Hitchcock, Antonioni, Argento, Welles, Vadim, Chabrol, Von Trotta. Una personalità complessa, inquieta e spesso enigmatica raccontata con grande fedeltà dal documentario “Alida” firmato da Mimmo Verdesca, il 29 marzo scorso in streaming su mymovies.it in attesa che esca sul grande schermo.

Presentato alle ultime edizioni dei Festival di Cannes e di Roma, finalista nella cinquina dei Nastri d’Argento, il film è una dichiarazione d’amore al cinema attraverso il racconto della vita di una grande artista del Novecento. Le lettere e i diari, accompagnati da materiali esclusivi, fotografie e filmati di vita privata, sono al centro del doc. Un imponente archivio a cui il regista ha avuto accesso grazie ai suoi familiari: Pierpaolo, Maria Laura e Larry De Mejo.

La voce di Alida Valli è interpretata da Giovanna Mezzogiorno capace di far rivivere i pensieri intimi dell’attrice riportati sui suoi diari restituendo le sofferenze, l’entusiasmo e il suo spessore umano. “Mia nonna era una donna molto timida – racconta De Mejo- estremamente sensibile e generosa negli affetti. Teneva alla sua vita privata e non rincorreva le copertine e il clamore. Era l’aspetto del suo mestiere che meno le interessava”. Non amava essere definita né diva né antidiva, Alida. La sua è una carriera costellata di scelte ardite e spesso caparbiamente controcorrente.

Nel dopoguerra tentò la via di Hollywood, una scelta su cui presto tornò indietro. Nel 1947, fu diretta da Alfred Hitchcock nel noir “The Paradine Case” e l’anno successivo da Carol Reed in “The Third Man”, con Joseph Cotten e Orson Welles. “Dopo l’iniziale entusiasmo di essere riuscita ad arrivare ad Hollywood – continua Pierpaolo De Mejo – scoprì quasi immediatamente di non essere tagliata per quella vita. Si sentiva un “pacco” -così mi raccontava – e sciolse volontariamente il contratto con il produttore Selznick che la aveva scritturata per sette anni. Non era a suo agio con le regole di quella industria che trattava i suoi divi come dei burattini privi di personalità”.

Il suo ritorno in Italia fu difficile, il cinema del Neorealismo cercava volti segnati e sofferenti. Alida certo non rientrava in quel cliché. Ma riuscì a farsi strada lo stesso, il successo arrivò con la sua potente e sofferta interpretazione della contessa Serpieri, nel melodramma elegante e cupo di Luchino Visconti “Senso” del 1954. “Era un’artista curiosa e vivace – spiega il nipote Pierpaolo – la sua scelta di abbandonare il cinema per dedicarsi al teatro dimostra quanto fosse importante per lei trovare sempre nuovi stimoli autoriali – e continua – anche quando tornò negli anni Settanta davanti la macchina da presa era entusiasta di comprendere questo nuovo cinema italiano e di confrontarsi con i giovani registi. Penso alla sua interpretazione della contadina sboccata nell’opera irriverente di Giuseppe Bertolucci o la perfida Miss Tanner di Suspiria di Dario Argento”. “Quello che ricordo di lei è soprattutto la sua grande ironia e la sua leggerezza nell’affrontare la vita – conclude De Mejo – Era una donna che sapeva ridere, spesso ripeteva divertita: non hanno mai capito un tubo di me! Sarei stata una grande attrice comica”.