Il silenzio, la scrittura, la bellezza: in una parola Clarice Lispector

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Dobbiamo a Isabella Cesarini, autrice e saggista, la possibilità di conoscere una scrittrice, Clarice Lispector, che pur essendo una delle più grandi voci del 900 letterario, è con ogni probabilità sconosciuta al grande pubblico (pur essendo stata pubblicata da editori come Feltrinelli, Mondadori e Adelphi e sapendo che per grande pubblico intendiamo il piccolo pubblico dei consumatori di quei prodotti editoriali chiamati libri).

Il libro di Isabella Cesarini è Con la parola vengo al mondo (Tuga Edizioni, 2021, 122 pagine,16 euro) e si tratta di un’utilissima guida ai profani. Ma non è una guida nel senso usuale del termine: l’autrice unisce l’utile al dilettevole, la storia con l’avventura (intellettuale).

Clarice Lispector

Clarice Lispector nasce in Ucraina nel 1920 e vive e muore a Rio de Janeiro nel 1977. Scrittrice, saggista, giornalista e traduttrice, la produzione letteraria della Lispector è refrattaria alla categorizzazione per generi. Del resto, come spiega Isabella Cesarini, la trama, la classica trama, nel caso della Lispector, è la cornice che inquadra il flusso di coscienza, anzi di linguaggio.

E’ invece facile isolare alcuni temi: il silenzio, la donna, la bellezza, l’infanzia. Forse in una parola: la vita. Come afferma l’autrice, Clarice Lispector scrive per eleggere un nuovo lessico: il linguaggio del silenzio”. Non solo: “Madre, figlia, amante, moglie, la figura della donna nell’opera di Clarice Lispector si colloca dentro un mistero”. La donna è un mistero come la scrittura, non si rivela mai completamente. Come la bellezza, che altro non è se non mancanza: “il vuoto lasciato è il gesto in cui la bellezza si manifesta, esattamente come fa la morte con la vita.

Proust parlava di “essenza carnale” per riferirsi a quelle idee, pensieri, sentimenti, emozioni che non riusciamo a inquadrare, a “vestire”. La stessa cosa pare si possa dire in riferimento alla produzione letteraria della Lispector e come sempre ci viene in soccorso proprio Isabella Cesarini, quando scrive che “La parola di Clarice è carnale quanto le creature narrate, sempre impegnate ad allontanarsi dal pensiero per poter vivere infine solo nei sensi”. Infatti La nausea di Sarte è diversa dalla nausea della Lispector: quella di Roquentin, il protagonista del romanzo filosofico (o l’alter ego di Sartre?) è una nausea mentale, astratta, non giunge alla carne, resta in una dimensione immateriale. Mentre “Clarice Lispector è corpo della parola carnale che torna nel grembo a ogni fine periodo, fine racconto, fine romanzo”. Ma in comune c’è il concetto di epifania, di svelamento indotto da un’esperienza, dalla visione di qualche cosa o da un evento particolare: torna il concetto di essenza carnale, torna la “cosalità” di Sartre e torna pure il Joyce di Gente di Dublino.

Ma non si pensi a una vita di depressione quando si pensa alla vita di Clarice Lispector, dal momento che “la scrittrice vive l’esaltazione dell’esistenza, una passione che giunge direttamente dalla voce del corpo”. E’ evidente che è centrale il concetto di carnalità della parola.

Il libro della Cesarini è fondamentale per iniziare a fare la conoscenza di questa ovattata scrittrice: ce ne illustra dapprima la vita, quindi la cala in una dimensione concreta (carnale!) e poi ci accompagna passo passo all’approfondimento di singole opere, non senza un’utile bibliografia finale. Impossibile, alla fine, non decidere di andare in libreria (o ordinare su Amazon……) il nostro primo libro della Lispector, con cui iniziare questo viaggio.