“Ralph De Palma”, l’eroe che ispirò Enzo Ferrari

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È sera e all’interno di una chiesa, una donna con i capelli coperti da uno scialle nero e le mani congiunte in segno di preghiera è dinanzi l’altare, piangendo nella propria solitudine. D’improvviso, dei piccoli piedi entrano in campo e, accompagnati dalla macchina da presa, si avvicinano alla donna che piange. È un bambino, suo figlio Raffaele. II due si guardano e col volto appena illuminato dalle candele, si scambiano carezze e si abbracciano, in una silenziosa disperazione. Queste sono le prime immagini, subito dopo il titolo, del docu-film “Ralph De Palma – L’uomo più veloce del mondo”, diretto da Antonio Silvestre, tratto liberamente dal saggio di Maurizio De TullioRalph De Palma-Storia dell’uomo più veloce del mondo che veniva da Foggia” e che sarà disponibile dal 15 Marzo in streaming. L’idea del film è molto interessante, riportare sullo schermo la vita e le eroiche gesta di una delle leggende sportive italiane che, nonostante abbia vinto la 500 Miglia di Indianapolis nel 1915 diventando “l’uomo più veloce del mondo”, sembra essere più osannato negli Stati Uniti che in Italia. La storia è quella di un campione che, partito assieme al padre e ai tre fratelli quando egli aveva dieci anni, ha dovuto lasciare sua madre, emigrando verso gli Stati Uniti e abbandonando così la propria patria, la propria terra. Ma il suo sogno, forgiato dal coraggio e dall’idea di non doversi mai arrendere, lo porterà a grandi trionfi, facendolo divenentare l’uomo più veloce del mondo. Per tutta la durata del film vi è una continua fusione tra i filmati d’archivio e vecchie foto che mostrano il disagio e la miseria di un’Italia profonda, arcaica, proprio quella della fame e del brigantaggio, mostrando anche come era allora Biccari, il paese natale di De Palma. Nonostante le buone intenzioni da parte del regista, bisogna dire che nel film non vi sono elementi che forniscano un quadro registico, ad esempio le immagini documentaristiche della New York dei nostri giorni sono alquanto esili dal punto di vista tecnico e non solo. Il montaggio mescola i fotogrammi di finzione con i veri filmati senza una visione di racconto, quasi unendo il tutto in maniera anonima, provvisoria. Il problema è che manca una solida base registica, che per un documentario del genere è difficile ma essenziale. Le scene di finzione sono estremamente melodrammatiche, forse troppo, e mancano di quel sottile realismo che riesce a rendere veritiera una scena d’addio anche senza primi piani su madri dal pianto esasperato e con accentuati pianoforti in sottofondo che riescono a rovinare anche delle inquadrature interessanti, come in questo caso. Anche la scena più importante dell’intera pellicola, quella del circuito di Indianapolis del 1912 in cui De Palma fu costretto assieme al suo meccanico Rupert Jeffkins a spingere a mano la sua automobile al traguardo dopo la rottura del motore, un grande momento dal sapore quasi mitologico, quel sapore che qui non riesce ad avere, proprio per via di un incompiutezza visiva, in cui le emozioni assumono un alone di finzione, e persino la scenografia, data anche la scarsità del budget. Interessante è l’interpretazione di Alessandro Tersigni, che entra piuttosto bene nei panni del leggendario automobilista e anche quella di Simone Montedoro in qualità di narratore, anche se la sua voce tende a volte ad essere retorica e troppo presente, quasi annullando l’idea di una voce che proviene dall’aria. Resta però una sufficiente testimonianza di una storia che andava raccontata per le vecchie e le nuove generazioni, per ricordare a tutti chi è stato questo eroe che proveniva dalla nostra terra. In fondo questa storia dall’eroico protagonista è stata un modello d’ispirazione per un’altra leggenda tutta italiana, Enzo Ferrari.