Con Willie Peyote “Mai dire mai”….

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foto di Chiara Mirelli

Una satira ben riuscita, che partendo dall’ambito musicale va a toccare contesti diversi della società contemporanea, mettendone in risalto la dilagante superficialità, innalzata a cultura autentica. Amante dell’hip hop e della canzone d’autore, il torinese Willie Peyote (Guglielmo Bruno) porta in gara al suo primo Sanremo “Mai dire mai (La locura)”, brano dal contenuto tranchant che non risparmia niente e nessuno: dalla musica fruibile su Spotify, alla politica, ai balletti su Tik Tok, fino alla cieca obbedienza ai brand della moda, con uno sguardo critico sulla nuova scena cantautorale italiana. Un pezzo che potrebbe apparire distruttivo, ma nei fatti contiene molta più ironia che rabbia, come afferma il suo autore e interprete. “Tratto argomenti che ritengo importanti, spesso affrontati senza un adeguato approfondimento – ci dice Peyote – Ad una prima lettura, il testo di “Mai dire mai” potrebbe sembrare scritto sotto l’impulso della rabbia; mentre ascoltandolo, accompagnato dalla musica, si riesce a capire quanto il taglio sia molto più leggero e scanzonato. Infatti si ironizza su me stesso e su Sanremo, perché mi divertiva l’idea di partecipare al festival come guastafeste dall’interno. Chi non conosce la mia musica può essere rimasto spiazzato; ma brani di questo tipo fanno parte da sempre del mio stile”.

Il pezzo cita la serie cult “Boris” tanto nel sottotitolo (“La locura”) quanto nella prima strofa (“Questa è l’Italia del futuro, un paese di musichette mentre fuori c’è la morte”), dove si ascolta la voce dell’attore Valerio Aprea, interprete di uno degli sgangherati sceneggiatori de “Gli occhi del cuore”. Una citazione in linea col tono ironico del testo…

“Sono un grande fan della serie e mi diverto a fare citazioni da “Boris” con i miei amici. Quella frase, in particolare, l’ho risentita durante il lockdown riguardando le tre stagioni e mi ha molto colpito, perchè l’ho trovata attualissima, soprattutto se abbinata alla kermesse festivaliera. Quindi mi faceva ancora più ridere riferirla al contesto sanremese, perché il brano ha l’obiettivo di dire “cose molto serie, prendendosi poco sul serio”. Non possiamo far finta che mentre noi stiamo facendo il festival, nel mondo continua ad accadere ciò che esiste ormai da un anno….”.

Cosa ami dello stile di Mattia Torre, il padre di “Boris”, scomparso prematuramente nel 2019?

“L’idea era infatti parlare della serie anche per omaggiare Mattia Torre, grande autore dalla penna sottile ma provocatoria, capace di tratteggiare le contraddizioni italiane in un modo straordinario. Lavori come lo stesso “Boris” e “La linea verticale” sono sempre stati punti per me di riferimento. Mi ispiro a quel tipo di scrittura, e di conseguenza Torre è tra gli autori che mi hanno più influenzato, sebbene in un ambito non prettamente musicale”.

Mai dire mai” è un pezzo molto attuale e sembra essere in linea col tuo ultimo singolo “La depressione è un periodo dell’anno”, dove hai raccontato l’Italia al tempo del Covid. E’ così?

“Sono collegati per il semplice fatto che sono gli unici pezzi che ho scritto in questo periodo difficile; come sempre traggo ispirazione dalla realtà. Sono due facce della stessa medaglia, ma “La depressione è un periodo dell’anno”, come si intuisce dal titolo, è più cupo, mentre quest’ultimo è “allegro e smaliziato come una lambada”, per dirla come Aprea in “Boris”; ma il sottofondo di entrambi è lo stesso, perché scritti nello stesso periodo storico. Come tutti, sono convito che non si possa prescindere dalla pandemia, non solo nella musica, ma nella vita di tutti i giorni. Anche solo entrare e uscire dall’Ariston è diverso dagli altri anni”.

Nella serata di giovedì canterai “Giudizi universali” col suo autore e interprete Samuele Bersani. Da cosa nasce la scelta di questo duetto?

“Come il rap, il cantautorato è un genere che mi sono scelto da ascoltatore e che inevitabilmente fa parte della mia musica. Questo è il motivo per cui gli ho chiesto di fare questo determinato brano con me. “Giudizi universali” è un capolavoro perfetto per la serata delle cover e lui è uno dei miei punti di riferimento nella scrittura da sempre. Realizzare testi alla sua maniera per un cantautore è un punto d’arrivo, perché sa essere leggero e profondo allo stesso tempo. Samuele, come altri, ha sempre rappresentato un obiettivo da raggiungere; per questo è stato emozionante parlargli ed ero molto in imbarazzo. Ma il confronto con lui si è rilevato allla fine molto semplice e naturale.”.

A dirigere l’orchestra Daniel Bestonzo, co-autore del brano e tastierista di Willie Peyote,che torna al festival dopo aver accompagnato Levante lo scorso anno. E’ anche direttore di “Dieci”, il brano in gara di Annalisa.